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Bollettino ADAPT 7 giugno 2021, n. 22
La timida ripartenza dell’economia nei servizi si sta traducendo nell’aumento della domanda di lavoro, complice soprattutto l’imminente avvio della stagione estiva. Ormai da diversi anni questa stagione coincide con numerosi appelli da parte delle imprese, soprattutto quelle più piccole, che denunciano la difficoltà a reperire lavoratori. Le cause che vengono addotte dalle imprese non sono quasi mai legate alla difficoltà di incontro tra domanda e offerta o di disponibilità di adeguate competenze disponibili sul mercato, ma il discorso si sposta facilmente su una certa retorica dell’etica del lavoro secondo la quale non ci sarebbe disponibilità da parte dei lavoratori di stare a quanto richiesto dalle imprese in termini di impegno e serietà sul lavoro.
Si tratta in realtà di una questione molto più complessa che rivela alcuni problemi cronici del mercato del lavoro italiano e che ha visto un aggravarsi della situazione grazie alla pandemia. Infatti l’incertezza derivante dalle diverse misure di chiusura e apertura che si sono susseguite, e che ancora non ci hanno condotto in alla normalità, non hanno consentito una programmazione del fabbisogno di personale per la stagione estiva. Questo ha fatto sì che alle prime certezze si sia creato un collo di bottiglia che peggiora in un contesto in cui un vero sistema di servizi per il lavoro non è mai stato sviluppato, sia come capacità degli attori di gestire l’incontro tra domanda e offerta, sia come mancanza d’abitudine dei lavoratori a rivolgersi a questo sistema e non solo all’informalità dei contatti personali. A questo si aggiungono poi ulteriori elementi legati alla situazione normativa e sociale in cui ci troviamo. Lasciamo sullo sfondo la polemica che vede il reddito di cittadinanza come concorrente dei lavori stagionali, polemica che altro non rivelerebbe se non il livello inaccettabile dei salari proposti a questi lavoratori, così bassi da poter competere con il sussidio che ha un valore medio mensile inferiore ai 500 euro.
Più interessante è rilevare come per accedere al sussidio di disoccupazione (Naspi) a partire dal marzo del 2021 e fino alla fine dell’anno non sia più necessario aver lavorato almeno 30 giornate lavorative nell’anno precedente. Allo stesso tempo è sospesa anche la diminuzione del 3% mensile dopo il quarto mese dalla prima erogazione del sussidio l’accesso alla Naspi è possibile, fino a quando sarà in vigore il blocco dei licenziamenti, anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, cosa prima non prevista. Si tratta quindi di una serie di fattori che, uniti ai bonus per i lavoratori stagionali messi in campo dai vari decreti degli ultimi mesi, potrebbero consentire a molti potenziali lavoratori di aspettare almeno la fine dell’estate per porsi il problema della ricerca di lavoro dopo i 18 mesi di stop a causa della pandemia.
Ma non è tutto imputabile a questo, e il tema si poneva anche precedentemente alla pandemia, come mostrano i dati sui posti vacanti in Italia che sono ormai stabilmente sopra l’1% del totale da almeno cinque anni. Ossia circa 250.000 casi di lavori in cui domanda e offerta di lavoro non si incontrano. Perché questo accada è tema ampiamente dibattuto sul quale è facile che si polarizzino le posizioni. Da un lato chi mette sul banco degli imputasti unicamente la domanda ricordando come molte imprese, spesso le più piccole, offrano posizioni con contratti non standard, di durata troppo breve, con salari bassi che fuoriescono dai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, forme di part-time involontario che spesso nascondono quote di lavoro nero. Dall’altro chi invece accusa unicamente l’offerta sostenendo sia che vi siano lavoratori scansafatiche e non disponibili a lavorare veramente o lavoratori che non possiedono le competenze richieste.
Già smettere di vedere tutto bianco o nero sarebbe un aiuto al dibattito. Perché è chiaro a molti che l’Italia ha un problema di allineamento tra domanda e offerta di lavoro ma generato da un insieme di proposte di lavoro di bassa qualità e da forza lavoro che non possiede le competenze adeguate. Servono quindi sicuramente maggiori controlli soprattutto in questa stagione, ma serve anche un raccordo maggiore tra imprese e istituzioni formative che potenzi quelle forme di integrazione virtuosa tra formazione e lavoro che proprio nella stagione estiva possono contribuire alla costruzione di competenze preziose. Da questo punto di vista, ma anche in relazione alla regolarità dei rapporti di lavoro e ai salari, gli attori delle relazioni industriali potrebbero giocare una partita importante se potenziassero la contrattazione territoriale con l’obiettivo di costruire sistemi locali del lavoro che garantiscano insieme tutele e professionalità.
Presidente Fondazione ADAPT
Scuola di alta formazione su transizioni occupazionali e relazioni di lavoro
*pubblicato anche su Domani, 4 giugno 2021