Adapt - Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali

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Un piano per il lavoro senza visione e senza un progetto

Prime valutazioni sul "pacchetto lavoro" (d.l. 28 giugno 2013, n. 76)
a cura di Michele Tiraboschi
 



Un piano per il lavoro senza visione del futuro e senza una chiara progettualità. Così ci sentiamo di valutare il decreto legge n. 76/2013 a seguito di una scrupolosa e serrata analisi tecnica delle singole norme di dettaglio e dell'intero impianto del provvedimento che ha coinvolto oltre 60 tra ricercatori e dottorandi della Scuola di alta formazione di ADAPT consentendoci di realizzare in tempo reale un approfondito studio di più di 500 pagine di prima interpretazione del provvedimento che offriamo ora alla vostra lettura in modalità open access. Non è, pertanto, il nostro un giudizio improvvisato o a caldo analogo a quelli, prevalentemente demolitori e negativi, apparsi in rete, a seguito della approvazione del decreto, sulla base di semplici annunci e comunicati stampa del Governo o di inaffidabili e parziali bozze di articolato normativo apparse nei giorni precedenti al Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2013. E neppure è un giudizio di parte, di chi è coinvolto nella "contesa" e dunque è guidato dalla prudenza, talvolta un vero e proprio esercizio di tatticismo ed equilibrismo, come è stato per molti dei commenti "politicamente corretti" apparsi, per ragioni di buon vicinato e di tranquillo rapporto con il Governo, sui quotidiani e sulla stampa specializza.

Dall’analisi complessiva del decreto, tuttavia, ben poche sono le disposizioni con efficacia immediatamente esecutiva: il 20% circa. La percentuale è stata calcolata nel nostro studio semplicemente contando le disposizioni normative introdotte e verificando quante di queste fossero esecutive da subito. Si è trattato, quindi, di un mero conteggio quantitativo. Qualora fosse stata fatta anche una valutazione qualitativa, legata al peso specifico delle singole disposizioni rispetto agli obiettivi annunciati, il risultato ponderato sarebbe stato ancor più negativo posto che le norme di maggiore importanza sono subordinate alla azione delle Regioni o a interventi attuativi del Governo e dei singoli Ministeri.

Risulta in ogni caso evidente, almeno per coloro che abbiano avuto la pazienza anche solo di leggere per sommi capi il decreto n. 76, l'enorme scarto tra i molti annunci del Governo sulle misure che sarebbero state di lì a poco introdotte e quello che poi è realmente confluito nel decreto. A lungo si è parlato di staffetta generazionale e di youth guarantee, di reddito di cittadinanza e salario minimo garantito, di rilancio dell'apprendistato e ripristino, quantomeno in via sperimentale, nell'ambito del piano Expo 2015, delle flessibilità negate dalla legge Fornero. Eppure quasi nulla di questo si trova nel provvedimento varato dal Consiglio dei Ministri di mercoledì 26 giugno. Al punto da indurre più di un osservatore a concludere che, ancora una volta nel nostro Paese, la montagna ha partorito un topolino.

Bene, ovviamente, che il Governo si arrovelli con rinnovato slancio progettuale per trovare nuove soluzioni a problemi che ci trasciniamo da anni. E bene anche le prime misure adottate che, pur nella oggettiva penuria di risorse, sono comunque qualcosa di positivo in un contesto occupazionale che, specie per i giovani, pare senza speranza. Su temi sensibili e delicati come quelli del lavoro occorre però evitare facili promesse e false illusioni perché la vera svolta non potrà che dipendere da un rinnovato clima di fiducia da parte delle imprese che ancora stenta a emergere. E la fiducia, si sa, si conquista con i fatti e non con gli annunci anche perché, in questa fase dell'economia, le imprese non hanno tanto il desiderio di cercare alibi per non assumere, come ritiene invece Enrico Letta, quanto un problema molto più basilare che, molto semplicemente, è quello di sopravvivere.

 

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