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Bollettino ADAPT 26 ottobre 2020, n. 39
Parlare di piattaforme digitali evoca nei più l’immagine di ragazzi che in bicicletta attraversano la città per consegnare nelle abitazioni i pasti contenuti nei loro zaini colorati. Tuttavia, il fenomeno del lavoro tramite piattaforma digitale non si esaurisce con i rider. L’utilizzo di app per l’incontro tra domanda e offerta di servizi si sta diffondendo rapidamente anche (e forse in modo più significativo) in un settore di crescente importanza per la popolazione come quello dei servizi alla persona (pulizie domestiche, babysitting, ripetizioni scolastiche, assistenza domiciliare, ecc.). La professoressa Ivana Pais, in un articolo apparso l’11 dicembre 2019 su www.vita.it dal titolo “Il web sommerso dei lavoratori domestici”, ricorda come, stando ad una recente indagine dell’INAPP svolta su 45 mila individui residenti in Italia, “per ogni rider che incontriamo per le strade delle nostre città, ci sono due lavoratori domestici che operano attraverso App”. Appare di particolare interesse, dunque, comprendere quale impatto le piattaforme digitali abbiano o possano avere in un mercato ancora non del tutto strutturato come quello del lavoro domestico e dei servizi alla persona ed indagare le relative implicazioni per le condizioni di lavoro degli operatori domiciliari. Prima di tutto occorrerà pertanto individuare le principali caratteristiche del fenomeno attraverso una osservazione empirica dello stesso.
Un primo dato che è possibile cogliere tramite l’analisi dei termini e condizioni di servizio di alcune piattaforme digitali che in Italia si occupano di incrociare domanda e offerta di servizi domestici consiste nel fatto che molto spesso i gestori della piattaforma escludono la propria natura tanto di intermediari quanto di datori di lavoro, proponendosi, piuttosto, come marketplace in cui, in cambio della sottoscrizione di abbonamenti su base mensile o annuale, è possibile svolgere una ricerca personalizzata di operatori domiciliari (babysitter, badanti, ecc.). Esistono poi alcune eccezioni, come Vicker, piattaforma digitale che, con apposita autorizzazione ministeriale, svolge intermediazione di prestazioni d’opera ex art. 2222 c.c.; o 4MyFamily, che appartiene al gruppo Solidali, anch’esso autorizzato dal Ministero del lavoro a svolgere attività di intermediazione di lavoro, o, ancora, Yougenio, che dichiara di avvalersi di personale dipendente. Con riferimento al funzionamento, è molto diffusa la previsione di sistemi di rating che permettono all’utente di valutare il servizio ricevuto (è previsto ad esempio dalle app Yoppies, 4MyFamily, Vicker, e Le Cicogne). In alcuni casi l’app si fa carico di verificare l’esperienza pregressa e le referenze dell’operatore domiciliare (Helpling). In altri casi, la professionalità dell’operatore domiciliare è assicurata dalla piattaforma digitale, che dichiara di avvalersi di personale dipendente assunto e formato per svolgere il tipo di servizio richiesto dall’utente (Yougenio). Altra caratteristica comune consiste nel fatto che i pagamenti avvengono solitamente per il tramite della piattaforma digitale (Yoppies, Helpling).
Ciò che si ricava da tale analisi appare in linea con quanto osservato per analoghe piattaforme digitali operanti in altri Paesi. Il fenomeno, agli occhi dei ricercatori che hanno iniziato ad occuparsi del tema, presenta luci e ombre. Se, da un lato, infatti, l’impiego di piattaforme digitali, in un settore caratterizzato da una forte presenza di lavoro nero ed irregolare, sembrerebbe permettere il miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori domiciliari, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, tramite, anzitutto, l’emersione dei rapporti di lavoro (cfr. A. Hunt, F. Machingura, A Good Gig? The rise of on-demand domestic work, ODI Working Paper, n. 7/2016, A. Trojansky, “Uber-isation” of care? Platform work in the sectorof long-term home care and its implications for workers’ rights, Report EESC 2020), dall’altro, l’impiego delle stesse solleverebbe alcune possibili criticità sul piano giuridico, come il rischio di violare le disposizioni in materia di intermediazione di lavoro nonché le regole alla base del principio su cui si fonda l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (“labour is not a commodity”; cfr. V. De Stefano, M. Wouters, Should digital labour platforms be treated as private employment agencies?, ETUI, 2019). Inoltre l’esigenza di offrire agli utenti un servizio di qualità potrebbe spingere le piattaforme digitali ad avere un controllo sugli operatori domiciliari tale da integrare i presupposti per la riqualificazione del rapporto di lavoro nei termini della subordinazione, con la possibilità che anche in tale settore si alimenti il contenzioso giudiziario sul punto (è quanto avvenuto per le piattaforme digitali di pulizie domestiche Handy.com e Homejoy.com; al riguardo cfr. F.A. Schmidt, Digital Labour Markets in the Platform Economy. Mapping the Political Challenges of Crowd Work and Gig Work, Friedrich-Ebert-Stiftung, 2017). In definitiva il fenomeno sembra essere in rapida diffusione e sicuramente andrà attenzionato anche in Italia, soprattutto nella prospettiva dell’indagine e dell’analisi in chiave giuslavoristica, al fine di escludere abusi e violazioni della normativa italiana in materia di lavoro.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo