1. La proposta: obiettivi e finalità
Su proposta del Ministro del Welfare, il Consiglio dei Ministri n. 39 del 27 febbraio 2009 ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per la realizzazione di «un migliore e più effettivo contemperamento tra esercizio del diritto di sciopero e il diritto alla mobilità e alla libera circolazione delle persone».
Sebbene limitato a un segmento particolarmente vulnerabile dei servizi pubblici essenziali, come quello dei trasporti, il prospettato intervento legislativo persegue l’obiettivo di «favorire il funzionamento di un libero e responsabile sistema di relazioni industriali», secondo una filosofia di prevenzione e canalizzazione del conflitto collettivo da tempo sostenuta dal promotore della iniziativa legislativa. Il disegno di legge non riguarda, infatti, soltanto la regolamentazione dello sciopero in settori e ambiti di attività che incidano sul diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione, ma anche, in linea con il recente accordo del 22 gennaio 2008 sulla riforma degli assetti contrattuali, anche le condizioni di contesto per lo sviluppo di un sistema di relazioni industriali e di lavoro più partecipative e meno conflittuali.
In tale direzione si muove uno dei punti più qualificanti della proposta, ossia sostituzione della attuale «Commissione di Garanzia della attuazione della legge» sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali con una «Commissione per le Relazioni di lavoro». La Commissione per le Relazioni di lavoro – forte di nuove competenze in materia di conciliazione e arbitrato tra le parti in conflitto, e in analogia con l’esperienza di altri ordinamenti (Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) – dovrebbe assumere, in una ottica di prevenzione del conflitto, il compito di garantire non solo il rispetto formale della legge, ma anche il corretto funzionamento – e i relativi equilibri interni – di un moderno sistema di «relazioni industriali» ovvero, come si dice più correttamente ora nell’epoca del post fordismo, di «relazioni di lavoro».
Rispetto alle «Linee guida del Governo per la consultazione delle parti sociali sulla riforma della regolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero» dello scorso 17 ottobre 2008, il disegno di legge delega è decisamente più circoscritto: non si parla più, infatti, di dare «piena attuazione all’articolo 40 della Costituzione» in tutti i settori produttivi. In ragione di questa autolimitazione, l’attuale proposta governativa ha via via coagulato un consenso già consistente tra le parti sociali che, con la sola rilevante eccezione della Cgil, hanno accolto con favore il percorso riformatore ipotizzato dalla delega contribuendo attivamente a precisarne i principali contenuti.
2. Lo strumento della delega e i dubbi di costituzionalità
Proprio in una strategia di politica legislativa volta a costruire, strada facendo, il massimo del consenso sociale possibile e l’adesione convinta delle parti sociali si spiega, del resto, il ricorso alla strumento della legge delega. Scelta invero ritenuta da taluno a rischio di incostituzionalità, sul presupposto che non sarebbe «corretto modificare attraverso lo strumento della delega una legislazione incidente sui diritti costituzionali primari dei cittadini». L’obiezione, tuttavia, non coglie nel segno: da lungo tempo altri diritti di rango costituzionale sono oggetto di una massiccia regolamentazione per decreti legislativi senza che nessuno (e tantomeno la Corte Costituzionale) abbia mai eccepito alcunché in proposito. Per contro, proprio la scelta dello strumento della legge delega potrà consentire alle parti sociali, nei prossimi mesi, un maggiore protagonismo nella messa a punto della nuova regolamentazione del diritto di sciopero se è vero che, come afferma testualmente l’articolo 5 del disegno di legge, l’esercizio delle deleghe potrà essere orientato da uno o più avvisi comuni resi al Governo da parte delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Avvisi comuni che appaiono certamente dotati, da punto di vista politico prima ancora che giuridico e formale, di una forza particolarmente vincolante per il Governo stesso.
Allo stesso modo non appare fondato l’altro dubbio di legittimità costituzionale, sollevato dai primi commentatori sempre a proposito del ricorso allo strumento della delega, là dove si rileva che il Governo pretenderebbe «una sorta di delega in bianco “ad apportare all’ordinamento vigente ogni ulteriore modifica o integrazione”». L’articolo 5, comma 2, del disegno di legge delega subordina infatti chiaramente questa possibilità di apportare al quadro legale vigente ogni ulteriore modifica o integrazione agli obiettivi e, soprattutto, ai rigorosi criteri di delega contenuti nella legge stessa.
I decreti delegati saranno adottati, come da prassi, secondo la procedura di cui all’articolo 14 della legge 23 agosto 1998, n. 400. A seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, gli schemi dei decreti legislativi saranno trasmessi al Parlamento, per i pareri delle Commissioni competenti per materia, e alle parti sociali, come indicato dall’articolo 1, comma 1, del disegno di legge. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti, e sempre nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi. Infine, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, è prevista la possibilità, che potrebbe rilevarsi quanto mai opportuna alla stregua della complessa e frammentaria normativa di riferimento, di redigere un testo unico di tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto di sciopero e non solo di quelle contemplate nella legge 12 giugno 1990, n. 146 e successive modifiche e integrazioni.
3. Legge delega e disposizioni immediatamente precettive
Il disegno di legge si compone di cinque articoli.
L’articolo 1 contiene i principi e i criteri direttivi per la revisione della legge 12 giugno 1990, n. 146, come modificata e integrata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83, con specifico riferimento ai settori e alle attività che incidano sul diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione delle persone e in parte anche delle merci. Potranno rientrare nel campo di applicazione della nuova regolamentazione anche settori non essenziali, là dove, come non di rado è capitato negli ultimi anni, il conflitto degeneri in forme abnormi e tali da pregiudicare il diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione. Vero è, in ogni caso, che il settore dei trasporti rappresenta il terreno privilegiato di intervento del legislatore delegato e delle stesse parti sociali. Come precisato all’articolo 1, comma 2, i principi e criteri direttivi della delega, vincolanti per il legislatore delegato, fungeranno anche da principi e criteri ispiratori per gli accordi e i codici di autoregolamentazione del settore dei trasporti ovvero, in caso di inerzia delle parti sociali, per le regolamentazioni provvisorie della Commissione di Garanzia (e, in futuro, della Commissione per le Relazioni di lavoro).
L’articolo 2 contempla invece una delega generale, estesa a tutti i settori attualmente coperti dalla legge n. 146 del 1990, così come ai nuovi settori inclusi per la revisione e il potenziamento dell’intero regime sanzionatorio.
L’articolo 3 dispone, con norma immediatamente precettiva, il cambiamento di denominazione della Commissione di Garanzia in Commissione per le relazioni di lavoro; ne amplia poteri e funzioni senza tuttavia incidere sulla attuale natura di Autorità indipendente. La nuova Commissione entrerà in funzione solo alla scadenza del mandato dei Commissari della Commissione di Garanzia in carica all’atto della entrata in vigore della legge delega.
Anche l’articolo 4 contempla una disposizione di portata immediatamente precettiva, da tempo sollecitata, che estende l’obbligo di comunicare la proclamazione di sciopero anche alla Commissione di Garanzia. Come noto, attualmente è previsto la comunicazione della proclamazione alle sole amministrazioni o imprese che erogano il servizio, nonché all’apposito ufficio costituito presso l’autorità competente ad adottare l’ordinanza di cui all’articolo 8 che provvede poi – con inutile complicazione e disorientamento per gli operatori chiamati a confrontare l’inattendibile calendario ufficiale dell’Osservatorio sugli scioperi nei trasporti del Ministero delle Infrastrutture e l’attendibile, ma ufficioso calendario della Commissione di Garanzia – a inviare la comunicazione alla Commissione di Garanzia stessa.
L’articolo 5 contiene alcune disposizioni finali relative alla modalità di esercizio della delega, tra le quali la possibilità per il Governo di esercitare la delega tenendo conto degli eventuali avvisi comuni resi dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative.
Rispetto alle «Linee guida» del 17 ottobre 2008, a causa dell’opposizione di tutte le confederazioni sindacali, sono stati stralciati alcuni punti chiave della iniziale ipotesi, che si proponeva un intervento assai più radicale. Si tratta di temi che pure godevano di un discreto consenso da parte degli addetti ai lavori e, comunque, apparivano da tempo maturi anche per la stessa Commissione di Garanzia: l’aggiornamento e alla revisione dei servizi essenziali; la previsione della possibilità di pervenire a una (diversa e più effettiva) disciplina delle procedure di raffreddamento e conciliazione; la regolamentazione dello sciopero generale intercategoriale e dello sciopero generale di settore. Decisamente più controverso, per contro, appariva il tentativo di dare piena attuazione all’articolo 40 della Costituzione, sia pure attraverso una ipotesi di delega “leggera” limitata alle sola modalità procedurali.
4. Diritto alla mobilità e alla libera circolazione
I (pochi ma incisivi) principi e criteri direttivi della delega paiono destinati ad operare un radicale cambiamento di prospettiva. La proclamazione dello sciopero è riservata alle «organizzazioni sindacali complessivamente dotate, a livello di settore, di un grado di rappresentatività superiore al 50 per cento»; in caso di mancato raggiungimento di questa soglia, viene reso obbligatorio il ricorso al referendum preventivo tra tutti «i lavoratori» interessati dallo sciopero, ma questo purché «le organizzazioni sindacali che [lo] indicono siano complessivamente dotate, a livello di settore, di un grado di rappresentatività superiore al 20 per cento» dei lavoratori sindacalizzati. La legittimità dello sciopero «è condizionata al voto favorevole del 30 per cento» dei votanti.
Alla scelta di selezionare preventivamente i soggetti legittimati alla proclamazione, si accompagnano poi altre misure: a) l’introduzione – «per via contrattuale o, in assenza di accordo o contratto collettivo, nelle regolamentazioni provvisorie» – della dichiarazione preventiva di adesione del singolo lavoratore allo sciopero, «almeno con riferimento a servizi o attività di particolare rilevanza»; b) la previsione, sempre «per via contrattuale», del c.d. sciopero virtuale, inteso come «manifestazione di protesta con garanzia dello svolgimento della prestazione lavorativa», che può anche essere reso «obbligatorio per determinate categorie professionali»; c) la predisposizione di «adeguate procedure per un congruo anticipo della revoca dello sciopero» e di «una più efficiente disciplina delle procedure di raffreddamento e conciliazione»; d) la «semplificazione delle regole relative agli intervalli minimi tra una proclamazione e la successiva» (c.d. rarefazione) anche «in funzione del grado di rappresentatività dei soggetti proclamanti» e la «revisione delle regole sulla concomitanza di scioperi che incidano sullo stesso bacino di utenza»; e) una disciplina, da tempo sollecitata, «del fermo dei servizi di autotrasporto con specifico riferimento alle prestazioni essenziali da garantire e alla durata massima della astensione»; f) un intervento volto a garantire, per un verso, un «migliore e più effettivo raccordo e scambio di informazioni tra la Commissione […] e le autorità amministrative competenti per l’adozione della ordinanza di precettazione» e, per l’altro verso, un «potenziamento del coinvolgimento delle associazioni degli utenti e della corretta informazione all’utenza»; e, infine, g) il divieto, in qualunque attività o settore produttivo, di «forme di protesta o astensione dal lavoro», che, per la durata abnorme o le concrete modalità di attuazione, possano risultare «lesive del diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione».
5. Rappresentanza e titolarità del diritto di proclamazione
Nel condizionare la legittimità dello sciopero alla proclamazione da parte di soggetti “rappresentativi”, il disegno di legge delega non interviene sul nodo della rappresentanza sindacale, che comunque rimane ineludibile e che resta affidata a indici e criteri elaborati dalle stesse parti sociali, le quali, come noto, con l’accordo dello scorso 22 gennaio si sono date tre mesi di tempo per raggiungere una intesa al riguardo.
La proposta governativa incide semmai sul controverso tema della qualificazione dello sciopero come diritto a titolarità individuale o collettiva.
Non è mancato chi ha subito evidenziato come questa ipotesi di deflazione del conflitto collettivo, centrata sulla selezione dei soggetti legittimati a proclamare lo sciopero, sia destinata a scontrarsi frontalmente con il sacro principio costituzionale della titolarità individuale del diritto di sciopero, “dogma” non dimostrato del nostro giussindacalismo, a ben vedere, se è vero che l’articolo 40 della Costituzione si limita ad affermare che «il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Con ciò affidando inequivocabilmente al legislatore il compito di precisarne modalità organizzative ed esecutive in funzione dell’obiettivo, ineludibile, di coniugare l’interesse del gruppo collettivo con la tutela degli interessi generali e, in particolare, di altri diritti della persona o anche dell’impresa contemplati dalla stessa Carta costituzionale.
Dopo la promulgazione della legge 12 giugno 1009, n. 146 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, che è poi il segmento centrale e più rilevante del conflitto collettivo, non può peraltro neppure dirsi che la tesi della titolarità individuale del diritto di sciopero sia davvero così radicata e dominante almeno a livello dottrinale. In effetti, il legislatore italiano ha da tempo superato la qualificazione dello sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo. Specie dopo la novella del 2000, nell’imporre l’atto di proclamazione scritta e nel prevedere una serie di obblighi procedimentali e sanzioni per la loro violazione a carico del soggetto collettivo proclamante, il legislatore italiano ha da tempo superato la qualificazione dello sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo. Quanto basta per distinguere – diversamente da quanti ancora ragionano sul presupposto implicito, ma mai dimostrato della titolarità individuale – tra un diritto di proclamazione dello sciopero e un diritto di attuazione dello sciopero regolarmente proclamato.
La stessa Commissione di Garanzia costantemente conferma che l’atto di proclamazione dello sciopero è riservato alle sole organizzazioni sindacali, ancorché non necessariamente operanti in un forme associative o strutturate, e non al singolo lavoratore. Già oggi, dunque, nei servizi pubblici essenziali la titolarità del diritto di sciopero si scinde tra il soggetto collettivo, che è l’unico legittimato alla proclamazione, e i singoli lavoratori, che hanno la facoltà di attuare ma non di proclamare lo sciopero.
Nello stesso solco si colloca la proposta di legge governativa, il cui obiettivo è quello di identificare quelle soglie di rappresentatività qualificata che rendono equo e meno soggetto a istanze corporative il concreto contemperamento tra il diritto di sciopero e il diritto alla libertà di circolazione delle persone.
Senza dimenticare che, almeno in un settore come quello dei trasporti caratterizzato da una polverizzazione della rappresentanza sindacale, ad essere rafforzati sono in tal modo non solo i diritti degli utenti, ma anche quei sindacati che, proprio per la loro forza rappresentativa, sono generalmente più attenti alla salvaguardia degli interessi generali e, conseguentemente, maggiormente in grado di assumersi la responsabilità delle loro azioni.
6. La Commissione per le relazioni di lavoro
È in questa precisa strategia di governo e prevenzione del conflitto collettivo che si spiega il rilancio e il contestuale potenziamento – con una dotazione organica e la possibilità, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, di avvalersi di strutture e personale del Ministero del Welfare nell’ambito delle loro competenze istituzionali – della Commissione di Garanzia che, ferma restando la sua natura di Autorità indipendente, viene resa anche più compatta riducendo il numero dei commissari da nove a cinque. Alla Commissione per le relazioni di lavoro vengono ora affidate non solo «specifiche competenze e funzioni di natura arbitrale e conciliativa, anche obbligatorie», ma anche funzioni di verifica della reale rappresentatività dei soggetti proclamanti, vuoi in ragione di specifiche intese tra le stesse parti sociali vuoi anche in chiave prognostica in considerazione della incidenza e dell’effettivo grado di partecipazione a precedenti scioperi effettuati dai soggetti proclamanti.
Giunge così a coronamento un progetto di lunga data, descritto da Marco Biagi nel Libro Bianco sul mercato del lavoro del 2001, ma già chiaramente delineato in una proposta del 1999 su una «Agenzia per le controversie di lavoro e le relazioni industriali», elaborata per Tiziano Treu e recentemente ripresa dallo stesso Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.
7. Il nuovo regime sanzionatorio
A chiusura dell’impianto, il disegno di legge delega prevede una delicata, quanto tecnicamente complessa, revisione dell’intero sistema sanzionatorio della legge n. 146 del 1990, destinata a potenziare i poteri della Commissione. La delega si estende a tutti i servizi pubblici essenziali e opera con riferimento alle ipotesi di violazione delle regole sul conflitto da parte di tutti i soggetti coinvolti, con particolare riferimento al fenomeno degli scioperi c.d. spontanei.
Cinque sono i criteri della delega: a) aggiornamento e rivalutazione della entità economica delle sanzioni, in considerazione della gravità della violazione e della eventuale recidiva, della violazione dell’invito della Commissione ai sensi dell’articolo 13, lettere c), d), e) e h), della legge, nonché della gravità degli effetti dello sciopero; b) previsione di illeciti amministrativi a carico dei lavoratori che si astengono illegittimamente dal lavoro, parametrati alla gravità della infrazione, alle motivazioni e alle modalità della astensione; c) estensione delle sanzioni previste dalla legge n. 146 del 1990 anche a soggetti che operino in settori diversi dai servizi pubblici essenziali là dove il conflitto degeneri in forme abnormi e tali da pregiudicare il diritto alla mobilità e alla libertà di circolazione; d) competenza della Commissione ad irrogare direttamente le sanzioni; e) riscossione mediante ruolo delle sanzioni pecuniarie amministrative.
Michele Tiraboschi
Coordinatore scientifico di ADAPT
@Michele_ADAPT
* L’articolo è pubblicato anche in Diritto di sciopero e assetto costituzionale. Atti del Convegno CNEL, Roma, 14 ottobre 2008, a cura di Tommaso Edoardo Frosini e Mariella Magnani, Giuffrè editore, 2010.
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Verso una nuova regolamentazione del diritto di sciopero