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Bollettino ADAPT 28 novembre 2022, n. 41
Cosa si intende con l’espressione “ore lavorabili”? Che legame sussiste con le ore teoriche o con le ore lavorate? Esiste una differenza tra il tasso di “assenteismo” e quello di “non presenza”?
Almeno che non si lavori nell’ambito della gestione ed amministrazione del personale è molto facile fare confusione tra gli elementi sopra menzionati, i quali sono oggetto di periodica misurazione da parte dalle aziende, sia al fine di corrispondere a ciascun lavoratore la corretta retribuzione sia per avere un feedback sullo “stato di salute” dell’organizzazione e dei propri dipendenti.
A tal riguardo giova precisare che per ogni organizzazione aziendale l’introduzione di un sistema di raccolta puntuale dei dati di presenza – normalmente connesso ai sistemi di rilevazione delle timbrature – è di fondamentale importanza poiché permette di dimensionare il fenomeno della “non presenza” e la sua rilevanza per l’organizzazione aziendale.
Infatti, per verificare se la struttura organizzativa definita dall’azienda per la gestione dei flussi di lavoro è realmente efficace, non si può prescindere dal tenere in considerazione, sia in termini qualitativi che quantitativi, delle possibili casistiche di assenza del lavoratore. Ne deriva, dunque, che in sede di definizione del numero di dipendenti necessari per gestire un determinato carico di attività si dovrà tener conto anche del tasso medio di assenteismo del personale.
Inoltre, l’analisi dei dati relativi alla presenza consente di quantificare il reale costo del lavoro che sarà sostenuto in funzione della struttura organizzativa definita, anche in considerazione del fatto che alcune delle casistiche di assenza sono legate all’utilizzo di permessi retribuiti a carico dell’azienda.
Pertanto, il monitoraggio di tali informazioni consente di definire eventuali interventi correttivi per gestire la “non presenza” e di contenerne gli impatti sul costo e sull’organizzazione del lavoro. Dunque, sulla scia di tali considerazioni, emerge l’importanza di fare chiarezza sull’oggetto della presente analisi, rispondendo alla domanda: a cosa ci si riferisce quando si parla di “non presenza” e di “assenteismo”? Cosa genera questi fenomeni e quali azioni possono essere intraprese per il loro contenimento?
Innanzitutto, nel dare una definizione del concetto di “non presenza” e/o di “assenteismo” si deve partire dalla definizione del suo opposto, ovvero della “presenza” e a tal fine è necessario calcolare l’ammontare delle cd. “ore teoriche”. Infatti, ipotizzando che l’orario settimanale previsto dal contratto di lavoro sia di 40 ore lavorative e moltiplicando il suddetto valore per il numero di settimane in un anno si risale all’ammontare delle ore teoriche che è di 2080 h.
Tuttavia, la legge, il contratto collettivo e la disciplina individuale del rapporto di lavoro prevedono che una parte delle ore teoriche sia retribuita senza che ad esse corrisponda una prestazione lavorativa, ovvero in ragione di istituti quali: le festività, le ferie, il recupero delle ex festività e i ROL.
Dunque, soltanto depurando le ore teoriche dalla suddetta quota di tempo di lavoro retribuito ma “non lavorato” si può risalire alle cosiddette “ore lavorabili”, sulla base delle quali poi sarà possibile calcolare il “tasso di assenteismo”, ossia quella parte di “non presenza” sulla quale l’azienda può intervenire con azioni di miglioramento che possono incrementare il totale delle ore effettivamente lavorate.
Dunque, oltre ciò che concerne una corretta pianificazione delle ferie in linea con le esigenze tecnico produttive, un’azienda può fare ben poco per intervenire sul delta che separa le ore lavorabili da quelle ore teoriche, mentre, al contrario, ha degli ampi margini di azione nell’ambito delle pratiche di gestione delle risorse umane finalizzate al contenimento del tasso di assenteismo, ovvero del valore che separa le ore lavorabili da quelle effettivamente lavorate.
Ecco un breve schema riassuntivo di quanto sopra esposto:
Occorre precisare, inoltre, che al fine di operare una semplificazione della presente analisi, è stata esclusa dal ragionamento la quota di ore lavorate relativa alle ore di straordinario, le quali non rientrano nelle ore teoriche calcolate sulla base dell’orario di lavoro ordinario previsto dal contratto. Ovviamente, anche lo straordinario implica un aumento del costo del personale e a motivarne l’utilizzo, spesso, è proprio la crescita del tasso di assenteismo oltre il valore medio considerato durante le analisi organizzative che hanno definito il numero di unità di personale necessario per svolgere un determinato carico di attività lavorative. Pertanto, le ore di straordinario e gli l’extracosti che esse implicano, anche in ragione della maggiorazione retributiva prevista nei vari CCNL, sono riducibili, almeno in parte, contenendo il tasso medio di assenteismo entro la soglia che è stata prevista in sede di analisi organizzativa.
Alla luce di quanto considerato, dunque, emerge con chiarezza come il tasso di assenteismo sia il principale indicatore da tenere in considerazione quando si definiscono degli interventi nell’ambito della gestione delle risorse umane finalizzati al mantenimento dello “stato di salute” dell’organizzazione aziendale nonché al contenimento del costo del lavoro entro i valori previsti.
Un’interessante percorso di ricerca, dunque, potrebbe consistere nel proseguire la presente analisi approfondendo quali politiche di gestione delle risorse umane consentono di promuovere un alto tasso di presenza tra i dipendenti, soprattutto analizzando il valore che possono avere in tal senso la contrattazione collettiva, il welfare aziendale, i piani di spostamento casa-lavoro, i piani di healthcare aziendali e, più in generale, ogni investimento che l’azienda può realizzare nell’ottica di costruire un ambiente di lavoro che garantisca la salute, anche in senso letterale, del proprio contesto organizzativo.
Marco De Filippis
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@mardefilippis