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Durante la giornata del 2 dicembre, ultimo appuntamento del convegno internazionale su “I fattori e le competenze abilitanti per l’impresa 4.0”, tra i vari argomenti trattati dei diversi relatori, particolare attenzione è stata rivolta alla tematica della formazione professionale, necessaria – oggi più che mai – per conseguire quelle competenze richieste dalle trasformazioni del mercato del lavoro dettate dal nuovo paradigma economico. Ai tempi dell’impresa 4.0, infatti, la formazione professionale risulta una importante infrastruttura capace di offrire opportunità idonee a soddisfare le esigenze di un mercato del lavoro che richiede competenze in continua evoluzione. Ma affinché tale infrastruttura sia efficace, occorre superare certe policies che male hanno funzionato fino ad ora, e che rischiano di essere un ostacolo allo sviluppo del moderno mercato del lavoro. Come ha dichiarato il prof. Federico Butera durante il suo intervento, occorre pensare a nuove forme di offerta, superando quella logica che ha visto la formazione professionale utile “solo per rimpinguare le casse degli istituti regionali e costruire, piuttosto, un’offerta innovativa di formazione (che risulti) coerente anche ad una innovazione organizzativa (tanto necessaria ed auspicabile) dell’impresa 4.0”. A sostegno della tesi dell’importanza della formazione, è poi intervenuto il prof. Mario Mezzanzanica, che di fatto ha sottolineato che “chi ha futuro nel (moderno) mercato del lavoro è chi ha personalità, ossia chi ha attraversato un percorso di educazione e formazione che ha aperto diversi orizzonti e scenari”. Non va, però, dimenticata una caratteristica fondamentale del nostro sistema, in quanto l’Italia – ha proseguito il prof. Mezzanzanica – “è un Paese che va a velocità differenti: Nord, Centro, Sud”, caratteristica sulla quale occorre concentrare sempre più crescenti attenzioni.
Quello delle differenti velocità è un problema strutturale del nostro Paese, radicato nel tempo e che ha fatto da sfondo a numerose vicende – anche tristi – della sua storia. L’anniversario di una di queste vicende ricorreva proprio il 2 dicembre: in quella data, nel lontano 1968, avevano luogo le tragiche vicende di Avola. Alla base delle proteste che indussero i braccianti siciliani allo sciopero vi erano le rivendicazioni di una parità di trattamento salariale e normativo, nonché di una parità di diritti tra zone diverse all’interno dello stesso territorio provinciale.
Seppur lontani nel tempo e nello spazio, sembra possibile individuare un filo diretto che collega i due appuntamenti di cui sopra. Essi, infatti, hanno in comune il fatto di avere al centro dell’attenzione il lavoro e la persona del lavoratore. Non c’è dubbio che il lavoro ed il mercato del lavoro – così come le competenze e le professionalità richieste – del terzo millennio sono completamente diversi da quelli degli Anni ’60 del secolo scorso. Ma se c’è una caratteristica che accomuna i due contesti di riferimento è rappresentata da una problematica di fondo ben precisa: i divari tra le diverse aree del Paese restano enormi e, nell’era dell’Impresa 4.0, sembra profilarsi il rischio che essi crescano ulteriormente.
Dotare il sistema delle necessarie infrastrutture – materiali ed immateriali – utili a migliorare il funzionamento di un mercato del lavoro innovativo e dinamico è imperativo oggi imprescindibile. Ma nell’implementare tali strumenti, occorre guardare al sistema Paese nel suo complesso, superando quelle logiche sbagliate del secolo scorso. Affinché la formazione professionale sia un’infrastruttura virtuosa, è necessario che le opportunità formative siano offerte a tutti e su tutto il territorio. Occorre superare le criticità del passato, evitando di dotare alcune aree del Paese di infrastrutture di serie A, ed altre di infrastrutture di serie B, guardando piuttosto ad una più giusta e corretta distribuzione di opportunità. Imprescindibile al riguardo, è inoltre saper costruire modelli che sappiano sì sviluppare competenze 4.0, ma coerenti con le diversità territoriali e con le peculiarità tipiche dei diversi contesti locali, guardando – anziché ai tradizionali confini amministrativi – a nuovi e più funzionali confini distrettuali produttivi e tecnologici, all’interno dei quali agire con una logica di rete. E un ruolo infrastrutturale può essere ricoperto dai Centri di competenza che, in questo contesto, vengono a svolgere l’importante funzione di pivot che permette quelle interconnessioni materiali ed immateriali indispensabili all’avanzamento conoscitivo e all’innovazione tecnologica.
Riassumendo, un’offerta innovativa di formazione professionale, coerente alle sfide del tempo, rappresenta – accanto agli ulteriori strumenti a disposizione – un’infrastruttura fondamentale al servizio del moderno mercato del lavoro. Occorre rilanciare il ruolo della formazione quale volano di opportunità della persona del lavoratore, in qualunque territorio del Paese, evitando di sostituire le gabbie salariali del secolo scorso con le più moderne “gabbie formative e professionali”. Opportunità che devono essere distribuite in maniera equa affinché il rilancio del mercato del lavoro possa essere alla base del rilancio economico dell’intero sistema Paese, riuscendo anche a superare i forti divari regionali tra le diverse aree del Paese. Affinché le disparità territoriali di trattamento, di diritti e di opportunità che stavano alla base delle proteste dei lavoratori e dei braccianti siciliani di quel lontano e nefasto 2 dicembre 1968, non rappresentino più un motivo per cui si debba – ancora oggi – essere costretti a scioperare.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo