Lavoro, cosa aspettarci nel 2014?

Nel recente discorso con cui il Premier Letta ha chiesto la fiducia alla nuova maggioranza venutasi a creare dopo l’uscita di Forza Italia, la parte sul lavoro non ha enunciato nulla di sostanzialmente nuovo.

 

Si è ribadito l’obiettivo di implementare da gennaio 2014 la “Garanzia Giovani” (la misura pensata dall’Europa per affrontare il dramma della disoccupazione giovanile) e l’impegno a destinare automaticamente alla riduzione del costo del lavoro di tutti i proventi derivanti dai tagli di spesa operati dalla Spending Review.

 

Nessun significativo cambio di passo, dunque, rispetto al tran tran che ha caratterizzato sin qui gli 8 mesi trascorsi dall’insediamento dell’esecutivo Letta.

 

È però vero che un fatto nuovo in queste settimane è accaduto: l’elezione plebiscitaria di Matteo Renzi (e del suo programma marcatamente riformista!) alla segreteria del PD potrebbe rappresentare quell’elemento di forte discontinuità di cui l’Italia ha urgente necessità, se non vuole soccombere definitivamente.

 

Per la fine di gennaio è atteso dunque l’elaborazione del suo piano per il lavoro (Job Act). Dalle prime analisi dei documenti preparati dallo staff di Matteo Renzi per le ultime 2 primarie cui ha gareggiato, possiamo prevedere alcune linee di indirizzo:

 

la netta semplificazione del nostro pletorico e ingarbugliato diritto del lavoro, rendendolo traducibile in inglese;

l’introduzione universale delle politiche attive del lavoro, facendo in modo che la protezione del lavoratore non sia più legata alla sussistenza del posto di lavoro (se questo nella realtà non esiste più) ma avvenga nel mercato del lavoro, attraverso percorsi di ricollocazione ed eventuale riqualificazione professionale;

una nuova centralità per il contratto di lavoro a tempo indeterminato, reso flessibile in uscita dietro indennizzo per i neo-assunti, e non più inamovibile come accade oggi. Con la contestuale revisione di tutte le forme supposta di flessibilità, (tipo i cocopro) che nei fatti si sono dimostrate prevalentemente degli strumenti contrattuali abusati per aggirare l’ostacolo di un contratto a tempo indeterminato con regole ormai impraticabili in una moderna economia globalizzata.

 

Sicuramente si tratterebbe di proposte capaci di portare una forte modernizzazione nel nostro mercato del lavoro.

 

Notiamo che la realizzazione di questo progetto di flexicurity potrà trovare grande ausilio dalle Agenzie per il lavoro, per 2 aspetti:

 

la buona flessibilità: potrà transitare tutta dal contratto di somministrazione di lavoro tramite agenzia l’esigenza crescente di flessibilità del sistema economico, facendo in modo che le persone siano sempre accompagnate (e continuamente formate) durante la transizione tra i vari posti di lavoro e non abbandonate a se stesse. Sarebbe dunque opportuno, sempre nell’ottica della semplificazione, l’abolizione definitiva dell’obbligo di indicazione della causale di ricorso a questa tipologia di contratti da parte delle imprese utilizzatrici;

le politiche attive del lavoro: tramite il servizio di presa in carico e di ricollocazione, finanziato con voucher pubblici assegnati alle persone disoccupate, e differenziati in base al grado di occupabilità delle persone, le agenzie potranno facilitare la transizione dei lavoratori da aziende e settori in crisi a quelle in crescita e sviluppo. Come sta avvenendo in Lombardia con il sistema Dote Unica Lavoro, unica Regione italiana in cui i cittadini che cercano occupazione possono godere di un sistema di politiche attive del lavoro si stampo Europeo. Laddove invece i Centri per l’Impiego, (trasferiti all’Inps, non appena le Province saranno finalmente abolite?) potranno invece focalizzarsi sulla condizionalità da parte di chi percepisce i sussidi pubblici ed essere monitorati circa il loro impegno a cercare una nuova occupazione.

 

Antonio Bonardo

Group Director Public Affairs, GiGroup

 

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