Electrolux, un caso che fa ancora discutere. Con il Bollettino Speciale del 31 gennaio 2014, curato da Francesco Seghezzi e Alberto Sasco abbiamo dato voce ad alcuni nostri giovani ricercatori, per fare il punto tecnico della situazione, e abbiamo dato dato spazio alle diverse letture di questa vicenda. Un caso questo dipinto con toni foschi, che spacca a metà gli osservatori e l’opinione pubblica e che pare davvero emblematico dell’intero Paese, evidenziandone in modo crudo e senza ipocrisie alcune delle principali criticità politico-istituzionali, economiche e occupazionali.
Per continuare la riflessione intervistiamo oggi per ADAPT uno dei protagonisti del caso, Marco Mondini, 48 anni, dal 2007 Direttore delle Relazioni Industriali del Gruppo Electrolux in Italia e Country HR Manager a capo dei 7.000 dipendenti e delle 5 unità produttive del Gruppo Electrolux in Italia.
Ho conosciuto Marco nel 2000, ai tempi della elaborazione del progetto riformatore di Marco Biagi quando entrambi eravamo giovani collaboratori rispettivamente di Biagi e Maurizio Castro e lavoravamo assieme per un processo di modernizzazione del diritto del lavoro che partisse dai territori e dalla casistiche aziendali. Parlare con lui del caso Electrolux mi riporta dunque alla mente i nodi storici del sistema-Paese evidenziati già sul volgere del secolo scorso, nel Libro bianco sulla modernizzazione del mercato del lavoro di Marco Biagi, e mai compiutamente affrontati. Inevitabile forse arrivare a questo punto di non ritorno.
Tiraboschi: Mass media e opinione pubblica parlano senza mezzi termini di “ricatto”. L’azienda risponde che non è così, ma non è facile remare controcorrente. Noi siamo abituati a fare le cose all’italiana, con lavoratori in cassa integrazione per anni a cifre grosso modo analoghe a quelle che si leggono sui giornali. Quale è la tua posizione di uomo della direzione HR che sa che le persone sono la principale ricchezza di una azienda? Quali sono le principali criticità che state affrontando?
Mondini: Il nostro problema è quello di avere, come si suole dire, messo il dito nella piaga. Credo che nessuno possa negare o neghi che in Italia stiamo vivendo un drammatico momento di crisi della nostra competitività industriale, ciò che si nasconde dietro una cortina di dichiarazioni e ricette inefficaci, è molto semplice: il problema è la competitività di costo del prodotto e all’interno di questo tema, il costo del lavoro è la variabile più sensible, magari non per tutti, ma certamente per i settori manufatturieri labour intensive (come l’elettrodomesto).
La variabile costo del lavoro non è l’unica, ma è quella che penalizza di più la nostra industria, perchè è vero che le materie prime i componenti sono la principale voce di costo, ma sono una invariante tra diversi paesi, dato che tutti possono comprare dalle stesse sorgenti in ogni angolo del mondo, oppure, se acquistate localmente, rischiano di essere appesantimento, perchè i fornitori “domestici” sono purtroppo gravati dagli stessi problemi di competitività di costo.
L’energia è una componente importante ma che pesa, in percentuale, molto poco e nel nostro paese è particolarmente cara.
Resta essenzialmente, allora, la voce costo del lavoro, appesantita da rigidità, automatismi e un peso fiscale e contributivo crescente e in molti settori non sostenibile.
Le persone sono la principale ricchezza dell’azienda ed è anche per le persone che si presentano piani industriali sostenibili almeno nel medio termine, per garantire un futuro, ma se nulla viene fatto o proposto per ridurre strutturalmente il costo del lavoro e l’azienda (e lo stesso sindacato) viene lasciata sola di fronte al problema non resta altro se non aprire un confronto con le Organizzazioni sindacali sulle parti contrattualmente disponibili, cioè la parte variabile del salario e altri istituti che appesantiscono il costo dell’ora lavorata.
La nostra criticità è l’aver detto, come il bambino della favola “il vestito nuovo dell’Imperatore”, il re è nudo.
Tiraboschi: Cifre alla mano il sindacato ha spiegato che si tratterebbe di una riduzione del salario del 50 per cento. Ci puoi spiegare come stanno le cose?
Mondini: Credo sia necessario premettere che noi abbiamo sostenuto la necessità di ridurre il costo del lavoro, ma che non pretendiamo di farlo unicamente con la riduzione del salario, ben vengano altre azioni e interventi che rendano superfluo ricercare, per dovere di trasparenza e responsabilità, negli spazi disponibili alla contrattazione collettiva aziendale elementi di risparmio e dunque competitività.
Continueremo a ripeterlo fino all’ultimo respiro. I calcoli sindacali e quelli aziendali sono sostanzialmente analoghi, la perdita salariale puntuale, comunque importante, nessuno vuole negarlo, è oggi (con una parte della retribuzione sostenuta dai contratti di solidarietà) di circa il 9%, perdita che può stimarci tra il 13-15% proiettata al termine del periodo di congelamento degli effetti inflattivi del c.c.n.l. e degli scatti di anzianità (ovvero sommando la mancata percezione degli incrementi da c.c.n.l.).
La differenza va individuata nel fatto che il sindacato somma a questo la perdita reddituale conseguente a un ipotetico passaggio strutturale a orario di lavoro ridotto a 6 ore senza compensazione da parte della solidarietà (stimabile a circa il 25% del salario) raggiungendo quindi stime attorno al 40%.
Peccato che noi non abbiamo mai nemmeno pensato a una ipotesi di questo tipo, mentre abbiamo chiarito più volte la volontà, in una prospettiva di medio termine, cioè da qui ad almeno al 2017, di modulare i nostri piani industriali con l’aiuto degli ammortizzatori sociali, ovvero i contratti di solidarietà, in continuità con quanto convenuto col sindacato nell’Accordo del 22 marzo 2013, che definiva il ricorso al contratto di solidarietà in regime orario di 6 ore.
Alla domanda: e al termine del triennio?, abbiamo risposto che un progetto difensivo non può che traguardare tempi al termine dei quali si deve aprire una nuova discussione, basata su una realtà, ci si augura, differente da quella di oggi, aperta al rinnovo degli stessi strumenti, se disponibili o a studiare altre vie eventualmente praticabili, tutto in una prospettiva condivisa. Non credo sia utile anticipare un conflitto su una base inesistente. Forse non avremmo dovuto, con onestà e trasparenza, dire che il re è nudo.
Tiraboschi: La bozza di protocollo messa a punto dai “saggi” indicati da Confindustria Pordenone poteva essere un ottimo punto di mediazione. Cosa non ha funzionato?
Mondini: Ha funzionato tutto, e abbiamo anche riconosciuto la validità del contributo, pubblicamente e per iscritto. Il punto è che la proposta dei saggi (che tra l’altro, per quanto riguarda la parte riferibile al salario aziendale è fondamentalmente la stessa che abbiamo proposto noi) riguarda una provincia, Pordenone, e noi operiamo in quattro diverse regioni. I piani sono largamnte sovrapponibili, ma noi dovevamo avanzare una proposta che fosse sul tavolo anche a Forlì, a Susegana e a Solaro.
Tiraboschi: Rispetto alle richieste contrattuali c’è un piano industriale che dia senso ai sacrifici richiesti ai lavoratori?
Mondini: Abbiamo presentato piani industriali completi per tre fabbriche, Solaro, Forlì e Susegana. In questi piani a fronte dei sacrifici richiesti abbiamo formulato progetti industriali e investimenti (più di 120 milioni in 4 anni) e proiettato volumi in crescita alla luce del piano strategico al 2017. Tutto in una prospettima di mantenimento dei siti produttivi e di tutela occupazionale.
Per Porcia abbiamo sospeso la formulazione di un piano industriale in attesa di ricevere e contabilizzare sul costo del prodotto altri contributi provenienti dalle istituzioni locali e nazionali, dato che nel settore molto compromesso delle lavabiancheria le riduzioni del costo del prodotto raggiungibili con le nostre sole forze non ci rendono certi che gli investimenti strategici previsti per il lavaggio possano essere allocati nel nostro paese. Comunque, nel prossimo incontro istituzionale di febbraio, ci siamo impegnati, qualunque siano i contributi che affluiranno, a presentare un piano anche per le lavabiancheria e per Porcia.,
Tiraboschi: In azienda sentite la vicinanza delle istituzioni? Quale ruolo vi aspettate dal Governo? E il sindacato? Zanussi ha una forte tradizione partecipativa, perché non si riesce a trovare un punto di mediazione e tutto viene giocato non sui tavoli contrattuali ma nei salotti televisivi e sui giornali?
Mondini: Non è una nostra scelta, le Istituzioni si stanno molto occupando di noi, alcune le sentiamo più vicine, per altre siamo in fiduciosa attesa di contributi di supporto.
E comunque la forte tradizione e spirito partecipativo col sindacato stanno ancora dando dei frutti positivi, la condivisione degli scenari e delle problematiche è stata trasparente e ha permesso di focalizzare i problemi, il dialogo e la necessità di individuare una soluzione sono ancora vivi, nonostante tutto, e il senso di appartenenza a una realtà in difficoltà potrà essere utile in questa direzione.
Tiraboschi: Come vedi il futuro del nostro Paese? L’Italia è ancora un posto per fare impresa e per la manifattura?
Mondini: Se non viene fatto nulla e se si bastona il bambino per aver detto che il re è nudo, cioè la pura verità, non c’è che essere molto preoccupati.
Coordinatore scientifico ADAPT
@Michele_ADAPT
Marco Mondini
Direttore delle Relazioni Industriali del Gruppo Electrolux in Italia e Country HR Manager