Completare il jobs act. Nella conferenza stampa post successo elettorale, Mister 40%, Matteo Renzi, mette la seconda parte della riforma del lavoro al centro del suo programma. Sottolinea l’importanza della legge delega presentata al Parlamento e chiede ai suoi di accelerare. Perché, tamponata l’emergenza con il decreto Poletti che ha reso più flessibili i contratti a termine e l’apprendistato, ora è necessario riscrivere le regole del gioco nei suoi capitoli più corposi: ammortizzatori sociali, politiche attive, riordino delle forme contrattuali (contratto a tutele crescenti), conciliazione famiglia-lavoro ecc.
Detto, fatto. Il giorno dopo, il Ministro competente, Giuliano Poletti, dà il segnale della svolta: «È immaginabile che la legge delega si chiuda entro la fine dell’anno e se ciò accadesse noi saremo in grado di metterla rapidamente a regime (dopo l’approvazione in Aula tocca infatti al governo metterla in pratica con i decreti delegati ndr)». E Maurizio Sacconi (Ncd), relatore del provvedimento e presidente della commissione lavoro del Senato, va oltre: «Abbiamo chiesto spiega a Libero uno spazio per l’aula già a giugno e contiamo di concludere l’iter a Palazzo Madama entro i primi giorni di luglio».
Senatore l’iter è lungo, riuscirete a fare in fretta come chiede il premier?
«Noi faremo la nostra parte, ma le responsabilità più grandi cadono sul governo che con i decreti delegati indica i contenuti prevalenti, mentre nella legge delega si definiscono i principi e i criteri, come del resto era successo già con la legge Biagi».
Appunto le misure. C’è grande attesa per la riforma degli ammortizzatori sociali…
«L’idea è quella di un sistema complessivo su base assicurativa, quindi autosufficiente e non caricato sul bilancio dello Stato, che si fonda su due strumenti: da una parte l’Aspi (indennità di disoccupazione) e dall’altra la cassa integrazione, quando ci sono ragionevoli prospettive di rientro nell’azienda. Per questi due strumenti la platea dei beneficiari dovrebbe essere allargata anche alle collaborazioni a progetto, ma sempre in una logica assicurativa».
Quindi senza costi aggiuntivi a carico dello Stato?
«Certo. E apriremo anche alle partite Iva, un popolo che fino all’altro giorno accettava il rischio d’impresa, ma che ore vive una condizione di drastico impoverimento ed è quindi interessato a una protezione assicurativa in caso di disoccupazione».
Nella pratica come si declinerebbe?
«Ci sono due opzioni. Su base obbligatoria, che aumenta il costo del lavoro per tutti, oppure su base volontaria, includendo coloro i quali volontariamente si iscrivono all’assicurazione pubblica».
Preferenze?
«Ovviamente ne discuteremo. Io preferisco la base volontaria che include, appunto, le partite Iva che ritengano di voler partecipare».
Altro tema forte, nella delega si parla esplicitamente di compenso orario minimo…
«Credo che confermeremo la proposta del governo per introdurre un salario minimo, nella consapevolezza che il salario effettivo dovrà essere sempre più definito dai contratti di prossimità, dove il salario si collega ai risultati dell’impresa e alla produttività. Oggi la stragrande maggioranza dei lavoratori non partecipano alla maggiore produttività o ai migliori risultati ai quali concorrono. E questo va cambiato».
C’è in ballo anche tutto il capitolo delle politiche attive. Collocamento, ricollocamento, orientamento, formazione ecc.
«Dovremo incrociare la legge delega con la riforma della Carta Costituzionale, che è all’esame del Senato, nella quale si ipotizza il passaggio allo Stato della materia del Lavoro dopo la disordinata e spesso fallimentare esperienza delle Regioni. Noi condividiamo la scelta di uniformare queste politiche nel territorio nazionale e di fondarle su una collaborazione-competizione tra servizi pubblici e servizi privati o del privato sociale».
E come si favorisce questa competizione?
«Mettendo le risorse nelle mani dei senza lavoro attraverso un voucher da spendere a risultato presso i servizi che la persona ritiene più utili per la sua occupazione. In altre parole il modello lombardo della dote-lavoro». Certo. Però nel testo c’è anche una nuova Agenzia nazionale per l’occupazione.
Ce n’era davvero bisogno?
«L’Agenzia non fa altro che riordinare gli strumenti esistenti con delle competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego e politiche attive. Comunque sarà realizzata senza nessun nuovo onere a carico della finanza pubblica».
E veniamo al famoso contratto a tutele crescenti. Insomma alla revisione del contratto a tempo indeterminato. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Dobbiamo superare le rigidità sulle mansioni. E dopo le modifiche confuse, pasticciate e di incerta applicazione introdotte della legge Fornero occorrerebbe ricondurre in modo chiaro la reintegrazione di cui all’articolo 18 ai soli casi di licenziamento discriminatorio… Del resto, la legge Fornero andrebbe rivista anche nella parte che riguarda il processo del lavoro».
In che senso?
«Beh, c’è una richiesta molto ampia da parte del mondo delle professioni di superare il cosiddetto rito Fornero perché di incerta applicazione e fonte di allungamento dei tempi».
Lei sarebbe d’accordo con l’eventuale abrogazione?
«Sono d’accordo e mi risulta che anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il titolare della Giustizia, Andrea Orlando, la pensino allo stesso modo».
La delega prevede anche un riordino della normativa sulla conciliazione famiglia-maternità lavoro. Come procederete?
«Il tema della conciliazione tocca soprattutto due aspetti: la flessibilità dell’orario e la flessibilità dei modi di svolgimento della prestazione lavorativa anche a distanza. Noi, per esempio, abbiamo il dovere di liberare il telelavoro dai vincoli normativi sulle tecnologie di controllo che lo bloccano. Senza dimenticare la necessità di dare un forte impulso a tutti i servizi di cura ai minori, incluse le Tagesmutter (nidi familiari)».
In che modo?
«Per esempio consentendo la facile remunerazione delle mamme attraverso i voucher prepagati».