Un interessante saggio (Per il Lavoro, Rapporto-Proposta sulla situazione italiana, 2013, per le Edizioni Laterza) del Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ci aiuta a comprendere e ad interpretare i processi e prospettive del mercato del lavoro lungo uno scenario a medio termine ovvero negli anni che partano dalla crisi finanziaria e che arrivano al 2020.
Tra i tanti aspetti affrontati, a fronte di una recessione che inizia (nel 2012) quando ancora non si sono recuperati gli effetti di quella precedente (2008), il Rapporto denuncia il rischio «che le imprese si riorganizzino, adattandosi ai nuovi livelli permanentemente più bassi, attraverso ristrutturazioni della produzione o anche vere e proprie chiusure di stabilimenti»; che si produca, quindi, un «cambiamento strutturale della morfologia del nostro mercato del lavoro» e del capitale umano, in conseguenza della riduzione della base produttiva del Paese.
Se questo è il pericolo che corre l’economia italiana, per valutare l’impatto sulla popolazione lavorativa – sostiene in pratica il Rapporto – non è sufficiente fare il bilancio della disoccupazione “ufficiale” (la cui dimensione è risultata sicuramente meno grave rispetto a quanto ci si sarebbe potuto attendere in relazione all’intensità della crisi), ma occorre penetrare in quella “zona grigia” in cui «una persona non classificata tra i disoccupati non è molto distante da tale condizione».
A tal fine il Rapporto compie tre operazioni di “rettifica” delle statistiche ufficiali. Innanzi tutto, viene ampliato fino al 66° anno (dal 15°) il perimetro della popolazione in età di lavoro per tenere conto degli effetti della legge Monti-Fornero sulle pensioni. Vengono poi indicate due nuove definizioni ritenute più corrispondenti alle situazioni di fatto: 1) quella di forza lavoro allargata inclusiva anche dei c.d. “scoraggiati” in quanto – come è già accaduto negli ultimi tempi – è in atto un processo di allargamento di coloro che cercano di entrare nel mercato del lavoro, in conseguenza dell’affievolirsi di quelle reti di protezione familiari che consentivano, soprattutto ai giovani, di attendere occasioni lavorative da loro ritenute più adeguate; 2) quella di occupazione ristretta, che esclude i cassintegrati e i soggetti in part time involontario, evidentemente considerati in una condizione di sottoccupazione (quest’ultima è una classificazione discutibile in quanto, per chi scrive, il part time involontario non dovrebbe essere considerato tale).
Sulla base di queste due definizioni il Rapporto CEI arriva a calcolare che, dal 2007 al 2011, a fronte di un incremento di 580 mila unità della forza lavoro allargata vi è stata una riduzione di 770 mila persone nell’occupazione ristretta. Secondo questi criteri, dunque, i disoccupati in quel periodo sarebbero 1,35 milioni e non 600 mila come registrato dalle statistiche ufficiali.
Il Rapporto, poi, affronta – sulla base dei presupposti di un aumento della partecipazione al mercato del lavoro e degli effetti della riforma pensionistica – le tendenze della domanda e dell’offerta di lavoro al 2020. Viene previsto, nel medio periodo, un aumento delle forze di lavoro di circa 2,4 milioni di unità rispetto al 2001, a cui occorrerà rispondere creando altrettanti nuovi posti di lavoro soltanto per non peggiorare il tasso di disoccupazione e ritrovarsi in una situazione in cui sia l’incremento della partecipazione sia l’innalzamento dell’età pensionabile si traducano in «un aumento del livello strutturale del tasso di disoccupazione». Per il completo assorbimento della forza lavoro aggiuntiva il Rapporto considera necessaria una crescita dell’occupazione ad un tasso medio annuo dell’1%. Tale maggiore offerta di lavoro appare assorbibile – secondo il documento CEI – «con una dinamica del Pil mediamente dell’0,9% sull’intero periodo, il che implica una crescita – prosegue – prossima all’1,5% nella seconda metà del decennio per compensare la contrazione del 2012-2013». In ogni caso l’offerta di lavoro avrà una composizione molto diversa, caratterizzata da una maggiore incidenza di immigrati e di lavoratori anziani. La popolazione italiana in età compresa tra 15 e 66 anni si ridurrà di quasi 1,5 milioni di persone, mentre gli stranieri aumenteranno di 1,8 milioni.
Tante allora sono le sfide che ci attendono come comunità nazionale: assicurare un trend di crescita economica adeguata; rendere più efficienti le politiche attive del lavoro; migliorare le politiche di integrazione degli stranieri; qualificare la domanda di lavoro sia per quanto riguarda le aspettative dei giovani sia le esigenze degli anziani; rafforzare le condizioni per un maggior impiego delle donne. Anche vincendo queste sfide il Paese resterebbe lontano dal ricollocarsi ai livelli del 2007.
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus
Per il Lavoro, Rapporto-Proposta sulla situazione italiana, 2013