L’ipotesi per i licenziamenti disciplinari: l’azienda può pagare un indennizzo più alto al posto del reintegro. La partita decisiva non si giocherà in Aula ma in seguito, quando l’esecutivo dovrà varare i decreti attuativi.
Il giallo dell’emendamento del governo sull’articolo 18 non è solo il classico caso di tira e molla che accompagna ogni trattativa. Ma una forma di pressing preventivo, una marcatura a uomo reciproca in vista della partita decisiva che si giocherà dopo l’approvazione del Jobs Act, quando sarà la volta dei decreti attuativi. Sui licenziamenti disciplinari ingiustificati, cioè quelli motivati con il comportamento del lavoratore ma poi bocciati dal giudice, la proposta del governo dovrebbe dire che il reintegro nel posto di lavoro resta possibile in alcune «specifiche fattispecie».
Una sorta di via di mezzo tra le due posizioni che si sono scontrate per tutta la giornata di ieri. E qui, per forza di cose, bisogna stare attenti alle singole parole. La minoranza PD chiedeva che il governo si limitasse a riformulare l’emendamento già presentato in commissione dal gruppo. Un testo secondo il quale il reintegro è possibile «previa qualificazione specifica delle fattispecie». Nessun paletto stretto, cioè, ma tutto rimandato ai decreti attuativi. Ncd, invece, voleva restringere fin da ora il margine di discrezionalità della magistratura. E per questo chiedeva al governo un emendamento ex novo che, parlasse di «limitate e specifiche fattispecie». Una formulazione molto più stretta.
Perché il governo sembra intenzionato a preferire la strada indicata dalla minoranza pd? Intanto perché in questo momento il Jobs Act si trova nella commissione Lavoro della Camera dove la sinistra PD è fortissima mentre Ncd è ininfluente. Per passare è con la sinistra dem che bisogna scendere a patti. Ma anche perché le inversioni di rotta sono sempre possibili. Il Jobs Act è un disegno di legge delega: si limita a stabilire i principi della riforma che saranno poi dettagliati nelle norme attuative.
Il testo che sarà approvato oggi, quindi, sarà ancora abbastanza vago da poter essere sbandierato da tutte e due le parti in causa e da lasciare aperte molte ipotesi. Per pareggiare i conti con Ncd, il governo è pronto a giocarsi la carta del primo decreto attuativo, che Renzi vuole portare in Consiglio dei Ministri entro la fine dell’anno. In quel testo si dovrà dire che quali sono le «specifiche fattispecie» che danno diritto al reintegro.
Ed è in quell’occasione che potrebbe arrivare la stretta tanto cara ad Ncd: il reintegro sarebbe possibile solo se il licenziamento viene annullato dal giudice perché l’azienda ha accusato il dipendente di un reato che poi in giudizio si è dimostrato falso. Attenzione, ci deve essere di mezzo un reato non un semplice fatto, come invece ha detto ieri il sottosegretario al Welfare Teresa Bellanova, facendo infuriare Ncd, per poi correggere il tiro. L’azienda accusa il lavoratore di aver rubato, ad esempio, ma lui non ha rubato. Il reintegro scatterebbe davvero in pochissimi casi. Non è detto che questa linea passi: la sinistra del Pd è a conoscenza di questa strategia in due tempi ed è pronta ad ostacolarla.
Ma se le maglie del reintegro dovessero allargarsi di nuovo il governo ha già pronto il «piano b», che va sotto il nome di opzione aziendale: sul modello della Spagna, l’azienda potrebbe scegliere di pagare un indennizzo al lavoratore anche quando il giudice ne ha deciso il reintegro. Dovrebbe pagare di più ma di fatto il reintegro sarebbe cancellato per tutti i licenziamenti disciplinari. Anche per questo, però, bisogna aspettare i decreti attuativi. Per il momento ci si marca a uomo sui principi. Sempre che non arrivi il voto di fiducia a fischiare la fine della partita.