Si celebrano in questi giorni i 25 anni della Convenzione ONU dei diritti dell’Infanzia, documento culmine delle lotte intraprese nel secolo scorso che, proprio per il gran numero di battaglie dedicate ai più piccoli, è stato più volte definito il “secolo dell’infanzia”. Per la prima volta ci si riferisce ai bambini e agli adolescenti (come l’UNICEF raccomanda di tradurre il termine inglese “child”), come soggetti che già esistono e che, in quanto categoria “vulnerabile”, hanno bisogno di cure maggiori e di una particolare attenzione da parte delle leggi e della società. Composta da 54 articoli e da 3 protocolli opzionali, la Convenzione, firmata da tutti i 194 Stati del mondo, non è solo un elenco di principi, ma anche uno strumento giuridico fornito agli Stati stessi per l’applicazione dei diritti.
Secondo Piero Bartolini, Professore di pedagogia all’università di Bologna, intervistato in occasione della mostra pisana “La città dei diritti”, nel «microcosmo delle nostre città si percepisce l’eco delle drammatiche emergenze su scala planetaria». Se ci si distacca un attimo dagli esempi geograficamente lontani di violazione di diritti infantili, l’Europa e l’Italia stesse sono piene di esempi vividi e spaventosi di negazioni imperdonabili: dalle mancanze di strutture per bambini diversamente abili, agli abbandoni di neonati nei cassonetti della spazzatura. Quante volte, poi, sentiamo dire di rapimenti di figli contesi con conseguente fuga “illecita” da parte di uno dei genitori separati? Per non parlare del mercato illegale che si occupa di rubare piccoli esseri umani per chiederne il riscatto, darli in adozione o nel peggiore dei casi venderne gli organi. Troppo poco conosciuto, inoltre, il vastissimo mercato della pornografia e del turismo sessuale o quello ancora più vasto di tutti gli sfruttamenti economici minorili.
“Piccole” sviste giornaliere di cui gli adulti non si rendono conto, ma che incidono negativamente nella crescita dei fanciulli.
La Convenzione racchiude sia diritti universali ai quali siamo abituati a pensare per ogni essere umano (come il diritto alla salute o a non essere torturati) sia diritti ad hoc che riguardano solo ed esclusivamente i più piccoli (tra i quali l’istruzione, il gioco o il diritto al non-lavoro) e dei quali i bambini e gli adolescenti stessi, spesso, o non sono consapevoli, o non riescono a comprenderne l’importanza. Basti pensare all’idea di scuola con la quale cresciamo: “Devo proprio andarci oggi a scuola?” dicono tutti i bambini occidentali alla madre svegliandosi la mattina. Raramente i ragazzi di oggi si soffermano a riflettere sulla grande opportunità che hanno di tenere una penna in mano.
Ho frequentato le scuole medie in un Istituto dedicato a Iqbal Masih, un ragazzino pakistano simbolo della lotta contro il lavoro infantile che a quattro anni lavorava e che fu ceduto al padrone di una fabbrica di tappeti per ripagare i debiti della sua famiglia. Nel mondo occidentale odierno ci sembra improbabile la storia di Iqbal. In realtà, in un’epoca di pesante crisi economica, non serve andare in Pakistan o molto oltre i nostri confini per conoscere storie inquietanti. A Bari è possibile farsi una tinta a 5 euro perché da quel parrucchiere lavora una ragazzina di 14 anni che mescola le tinte per 15 euro a settimana. Dal fruttivendolo, trovi una ragazza che ha fatto uno scontrino da 0,1 centesimi per dimostrare al capo che è andata a lavorare alle 5.00 e che rimarrà lì fino alle 23.00 di notte. «Se i servizi sociali non ti scocciano più, quindi nessuno ti dice che devi andare a scuola –raccontano alcuni ricercatori di Save the Children e Associazione B. Trentin (“Game Over” indagine sul lavoro minorile) – se si vuole guadagnare un po’ di più, ossia 50€, si cerca lavoro nell’edilizia: qui di solito si scarica e carica le sacche di cemento di 10/15 kg o si va sopra un’impalcatura di 25/26 metri, senza casco, senza niente! Altrimenti si va dal meccanico, dal gommista o dal carrozziere, dove non viene insegnato il mestiere ma si fa di tutto e a volte si riesce ad avere delle mance. Oppure al mercato del pesce: ci si alza la mattina alle 4 e si lavora al freddo e si mettono le mani nel ghiaccio fino a ferirsi. Lo si fa per 50€ a settimana».
Sempre secondo Save the Children sono 260 mila i bambini, tra i 7 e i 15 anni, soprattutto stranieri e soprattutto al sud o nelle grandi città che lavorano in Italia. Il 24 % di loro lo fa per oltre cinque ore al giorno, solo pochi in contemporanea alla scuola. Se in destinazioni lontane i bambini si trovano spesso schiavizzati o arruolati negli eserciti irregolari; in Italia i minori lavorano per aiutare economicamente i genitori: si inizia in genere a 13 anni, si fa il cameriere o il commesso o si dà una mano in fabbrica o nei campi al padre. Sforare il limite secondo il quale un lavoretto non viene più considerato formazione nella crescita e nell’apprendimento del ragazzo ma danno per la realizzazione personale, è molto facile. Quasi 3 ragazzi su 4 infatti, lavorano per la famiglia con attività continuative eccessivamente prolungate che incidono negativamente sul loro corso di studi. E se da bambini non ce ne rendiamo conto, da adolescenti l’idea di poter avere un guadagno ed essere indipendenti da una famiglia che ci sta stretta, spesso ci stimola a essere i primi a volere la perseveranza di questo fenomeno sommerso, che continua a svilupparsi soprattutto come attività in nero.
«È vero signora? Posso proprio giocare?» chiese tremando nei Les Miserables la piccola Cosette a colei che si offrì di comprarle la scarpina che stava cucendo. «Ora il tuo lavoro mi appartiene. Le spiegò la signora. Gioca, bimba mia». Nel video per l’anniversario della Convenzione per i Diritti dell’Infanzia promosso dall’UNICEF e girato da Nicola Campiotti, c’è un giovane straniero intento a lavorare con gli pneumatici e ad usare un pericoloso martelletto con l’aria di uno che vorrebbe fare tutt’altro. Probabilmente questo ragazzo sarà figlio di una realtà difficile, vittima dell’immigrazione e forse del razzismo; probabilmente porterà i soldi a casa o se li procurerà per costruire l’unico futuro che pensa di poter avere, convinto di essere anche fortunato ad avere un lavoro. «25 anni fa le Nazioni Unite approvavano all’unanimità la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza – si legge nel video – quel giorno il mondo ha solennemente assunto un nuovo impegno per tutti i bambini e le bambine». Richiama l’attenzione di quel ragazzo di colore con la tuta da meccanico, uno scuolabus azzurro come il cielo, dal quale la voce di un’amica lo convince ad andare a scuola. Solo così l’umanità può dare il meglio di se stessa alle Cosette di tutti i tempi.
Mariachiara Boldrini
Liceo linguistico Eugenio Montale, Pontedera (PI)
@MariBol3