L’apprendistato è un investimento che ha i suoi costi e benefici. I fattori che un’impresa deve calcolare sono diversi. Fattori di cui la complessità, almeno in Italia, è ancora poco considerata. A riassumerli con modelli e dati in un quadro europeo è il recente saggio di Muehlemann e Wolter “Return on investment of apprenticeship systems for enterprises: Evidence from cost-benefit analyses”. L’articolo dedica molta attenzione al fattore “dimensionale”: in particolare allo “Special case” delle piccole e medie imprese europee che, va ricordato, rappresentano oltre il 90% delle imprese totali. La diffusione dell’apprendistato nelle PMI può concretizzarsi, suggeriscono gli autori, con l’avvio e la sperimentazione di modelli innovativi come le reti di impresa che permettono a due o più aziende di condividere costi e benefici della formazione ottenendo reciproci vantaggi.
Per Muhlemann e Wolter le difficoltà di diffusione dell’apprendistato nelle piccole imprese sono essenzialmente due: non possono formare più di un apprendista alla volta e sostengono costi di gestione proporzionalmente alti. Il risultato è che, nonostante incentivi normativi e finanziari, il numero di PMI europee che puntano sull’apprendistato è in media ancora basso: secondo il Cedefop nel 2013 solo 1 piccola e media impresa su 4 ha assunto apprendisti. In Italia secondo i dati Eurostat riferiti al 2010 il 32% delle imprese tra 1 e 49 dipendenti ospita percorsi di apprendistato; il 30% delle imprese tra 50-249 dipendenti; il 33% di quelle con 250 e oltre dipendenti. In confronto i dati tedeschi sono rispettivamente: 58%, 72%, 84%. Quello italiano è un caso unico: in tutta Europa più cresce la dimensione dell’impresa più è alta la proporzione di aziende che fanno apprendistato. In Italia invece le piccole imprese assumono apprendisti nella stessa misura delle grandi. Nonostante ciò il fattore dimensionale è trascurato nelle rilevazioni statistiche in Italia, in particolare nei monitoraggi Isfol.
Le criticità che bloccano l’apprendistato nelle PMI possono essere risolte con un maggior grado di condivisione di costi e benefici della formazione in una logica di rete. È quanto avviene in Svizzera, modello che i due studiosi hanno approfondito. Essi hanno calcolato che il beneficio delle imprese svizzere in rete, con un numero di dipendenti da 1 a 9, è di oltre 18.000 franchi svizzeri; 14.400 per imprese da 10 a 49; 13,200 per quelle tra 50 e 99. Le imprese svizzere con oltre 100 dipendenti invece perdono 2.300 franchi per formare i propri apprendisti. Nel modello svizzero i costi di formazione possono essere condivisi affidando la formazione dell’apprendista centri di formazione esterni con propri tutor che ruotano nelle diverse aziende ed evitano di distrarre dalla produzione i dipendenti interni. Nel caso svizzero lo stesso apprendista può inoltre ruotare in più aziende rispettando comunque il piano formativo progettato con la rete. Micro e piccole imprese collegate tra loro condividono sia gli incentivi che i costi fissi dell’apprendistato (amministrativi, assicurativi, sanitari) e, in alcuni casi, sono assistiti direttamente da un consulente esterno specializzato.
Le reti di impresa favoriscono un maggiore e più efficace coinvolgimento delle PMI nei percorsi di apprendistato assumendo la forma di “training networks”, così come li chiamano Muehlemann e Wolter. Nel loro articolo mostrano come è possibile concretizzare le potenzialità formative delle PMI che, almeno in Italia, restano ancora parzialmente inespresse. Le reti di impresa possono essere un fattore di diffusione capillare dell’apprendistato; in particolare nei territori con definite vocazioni industriali che, negli ultimi anni, hanno già promosso modelli di filiera integrata “produzione-formazione”: così ad esempio i Poli Tecnico-Professionali e i cluster innovativi. Di fatto è l’evoluzione in senso formativo di quella peculiarità tutta italiana che sono i distretti industriali.
Attualmente in Italia i numeri sulle reti di impresa sono in forte crescita. I contratti di rete d’impresa, al 1° novembre, sono 1.836 e coinvolgono 9.238 imprese: l’84% di queste sono micro (54%) o piccole (30%). Il ruolo delle reti di impresa nella promozione dell’apprendistato (in un’ottica di “training networks”) è stato formalizzato nell’articolo 8-bis della Legge Carrozza (128/2013) che ha previsto il coinvolgimento attivo delle reti, messe sullo stesso piano delle singole imprese, nella realizzazione della sperimentazione di percorsi di apprendistato di terzo livello al quarto e quinto anno di scuola superiore. Il decreto interministeriale MLPS, MEF e MIUR del 5 giugno 2014 ha stabilito che le reti di impresa possono partecipare alla sperimentazione a condizione che rispettino i requisiti di affidabilità economica e finanziaria previsti dalla legge, oltre a capacità gestionali, risorse professionali, certificazione della qualità dei processi aziendali.
La singola rete di impresa deve in pratica poter accogliere apprendisti e consentire un’adeguata formazione anche grazie ai tutor aziendali (scelti all’interno della rete) e ai docenti delle scuole che partecipano alla sperimentazione, i “tutor scolastici”. Tuttavia i requisiti previsti dal decreto interministeriale sono piuttosto stringenti e riportano in maniera criptica concetti come “capacità di accogliere”, “capacità formativa”, “capacità occupazionale”. Non è inoltre chiaro se le reti di impresa possono stipulare un protocollo di intesa con il Miur come rete d’impresa in sé, oppure c’è bisogno che ciascuna delle singole imprese parte della rete debbano siglare un protocollo specifico con il Ministero, anche se il tenore del testo fa propendere per la prima ipotesi. Ad ogni modo, nonostante vincoli burocratici e anomalie testuali della norma, il dato di fatto è che la rete di impresa ha ricevuto con la sperimentazione dell’apprendistato una legittimazione in ambito formativo. È significativo inoltre che, a loro volta, anche gli istituti scolastici possano partecipare nella forma delle “reti di scuole” alla sperimentazione in un determinato territorio. Nel decreto non è prevista invece la possibilità di ricorrere a tutor esterni all’azienda o alla scuola, così come avviene invece in Svizzera.
Il concetto di rete e il ruolo della territorialità sono diventati dunque rilevanti nella legislazione italiana sull’apprendistato e più in generale sulle partnership tra scuola e PMI. Reti d’imprese e reti di scuole, combinate tra di loro, potrebbero dare vita ad un agglomerato giuridicamente riconosciuto e definito: le “reti scuola-impresa”. Queste sono già informalmente sperimentate sul territorio nazionale grazie ad un progetto pilota di Confindustria–Retimpresa.
Manca ancora tuttavia uno specifico approfondimento scientifico e, soprattutto, una ipotesi di progetto normativo che le introdurrebbe nel nostro ordinamento. È un ambito di studio da non trascurare viste le continue sollecitazioni dell’Europa ad assumere una logica di condivisione delle attività di formazione e di inserimento dei giovani in azienda. Muehlemann e Wolter mostrano che in rete PMI e apprendisti ricevono vantaggi reciproci: la condivisione conta allora più della dimensione. Persino in Italia.
Scuola internazionale di Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo