Il Rapporto globale sui salari, pubblicato dall’ILO il 5 dicembre 2014, esalta l’importanza delle retribuzioni per la crescita dei consumi e del reddito nazionale e interpreta il rinnovato interesse nei confronti delle variazioni salariali come diretta conseguenza delle preoccupazioni dei governi per il mantenimento di tassi di crescita positivi. Il salario del resto è una delle principali determinanti dell’andamento di molti importanti indicatori economici e, in quanto tale, continua ad essere usato come leva strategica per l’attuazione delle politiche economiche. Da questo punto di vista, il rapporto dell’ILO rappresenta un prezioso strumento di benchmark che consente di avere una visione d’insieme dell’andamento dei salari, rappresentando quindi la base per la progettazione di politiche coordinate tra le diverse economie.
Andamento dei salari in leggera ripresa
A livello globale, dopo aver subito una severa contrazione nel 2008 e nel 2009, i salari reali medi mensili sono cresciuti del 2,2 per cento nel 2012, ma sono aumentati del solo 2,0 per cento nel 2013, non riuscendo ancora a raggiungere il tasso di crescita del 3,0 per cento, relativo al periodo antecedente la crisi economica. La maggior parte dell’aumento globale dei salari è stato trainato dalle economie emergenti e in via di sviluppo, e in particolare dalla Cina, grazie alle dimensioni della sua economia e al sensibile aumento dei salari reali.
La produttività cresce, i salari diminuiscono
Nelle economie sviluppate, dal 1999 al 2013 si è assistito ad un aumento della produttività del lavoro superiore rispetto alla crescita dei salari reali medi. Ciò ha determinato una diminuzione della quota del reddito da lavoro, suscettibile di innescare una contrazione del reddito e dei consumi delle famiglie, una stagnazione della domanda aggregata e un valido deterrente agli investimenti delle imprese. Il dato è tuttavia influenzato molto dagli andamenti delle economie più grandi, tra cui Germania, Stati Uniti e Giappone. Nelle economie emergenti e in via di sviluppo, i salari reali medi sono cresciuti più rapidamente rispetto a quelli delle economie sviluppate. Tuttavia, non sempre la crescita dei salari si è tradotta in un aumento della quota del reddito da lavoro, a causa di un incremento più cospicuo della produttività del lavoro oppure a seguito di cambiamenti strutturali, che hanno comportato un trasferimento di risorse da settori economici ad alta intensità di manodopera a settori capital intensive.
Si registra una convergenza salariale tra economie avanzate e economie in via di sviluppo
Benché i salari reali medi delle economie emergenti e in via di sviluppo siano tuttora inferiori rispetto a quelli delle economie sviluppate, la differenza salariale tra i due gruppi di paesi è sensibilmente diminuita tra il 2000 e il 2012, a seguito di un forte incremento dei salari nelle economie emergenti e una contemporanea stagnazione o contrazione dei salari nelle economie sviluppate.
Crescono le disuguaglianze sociali
Sebbene il livello delle disparità sia generalmente più elevato nelle economie emergenti e in via di sviluppo, un incremento delle disuguaglianze è stato recentemente registrato anche nella maggior parte dei paesi sviluppati. Tra il 2006 e il 2010, circa la metà delle economie sviluppate ha registrato un aumento delle disparità tra il 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero delle famiglie, così come all’interno del ceto medio. Tale incremento è stato spesso causato da una combinazione tra aumento delle disparità salariali e perdita del lavoro. Con l’eccezione della Spagna, dove le disparità sono aumentate, nella gran parte dei paesi più colpiti dalla crisi economica si è registrata una diminuzione delle disuguaglianze, allorché una contrazione maggiore ha interessato i redditi più elevati, determinando un restringimento del divario tra alti e bassi redditi. Molte economie emergenti e in via di sviluppo hanno testimoniato un declino delle disuguaglianze totali, per effetto di una distribuzione più equa dei salari e del lavoro subordinato.
L’importanza delle differenze salariali nella determinazione delle disuguaglianze totali risiede nel fatto che i salari costituiscono una delle principali fonti di reddito delle famiglie, sia nelle economie sviluppate che in quelle emergenti e in via di sviluppo. In particolare, i salari rappresentano l’80 per cento del reddito delle famiglie negli Stati Uniti e circa il 70 per cento del reddito delle famiglie in Europa. Nelle economie emergenti e in via di sviluppo, la quota dei salari nel reddito delle famiglie varia dal 50/60 per cento in Argentina e in Brasile, a circa il 40 per cento in Perù e al 30 per cento in Vietnam. In questi paesi, infatti, il reddito da lavoro autonomo rappresenta una porzione più ampia del reddito delle famiglie rispetto alle economie sviluppate.
Una porzione consistente delle disuguaglianze totali è rappresentata dalle disparità salariali tra uomini e donne, tra lavoratori migranti e lavoratori nazionali, tra dipendenti dell’economia formale e dipendenti dell’economia informale. Tali penalizzazioni salariali derivano da cause “spiegabili”, cioè da caratteristiche osservabili del capitale umano e del mercato del lavoro (ad esempio, l’esperienza e la formazione), e da moventi “inspiegabili”, frutto di elementi che non dovrebbero influire sul salario (ad esempio, il fatto di avere figli) e che costituiscono una discriminazione. Il Rapporto rivela che l’eliminazione delle sole ragioni “inspiegabili” delle penalizzazioni consentirebbe di ridurre considerevolmente il differenziale “improprio” tra i salari di uomini e donne, e di lavoratori nazionali e migranti, in diverse economie sviluppate ed emergenti.
Le politiche di contrasto alle disuguaglianze salariali: salario minimo e contrattazione
I salari minimi costituiscono uno strumento importante allo scopo di ridurre le disparità e sostenere i redditi dei lavoratori scarsamente retribuiti. Ma affinché siano efficaci, i salari minimi devono essere stabiliti in modo da bilanciare le esigenze dei lavoratori e delle famiglie con i fattori economici.
Un’altra istituzione del mercato del lavoro, ritenuta fondamentale per affrontare le disuguaglianze di reddito, è la contrattazione collettiva. La sua efficacia dipende dalla posizione dei lavoratori nella distribuzione dei salari, dall’esito delle negoziazioni per i diversi tipi di lavoratori e dal grado di centralizzazione e coordinamento della contrattazione stessa. Complessivamente, occorre considerare i salari minimi e la contrattazione collettiva come fattori complementari di una medesima azione politica.
Il perseguimento della piena occupazione costituisce un ulteriore veicolo della riduzione delle disparità. A tal proposito, è necessario promuovere imprese sostenibili, attraverso incentivi agli investimenti e all’incremento della produttività.
Inoltre, per garantire remunerazioni più eque, l’ILO suggerisce l’implementazione di politiche tese ad eliminare i differenziali salariali “inspiegabili” dal punto di vista del capitale umano e delle caratteristiche del mercato del lavoro. Tra le altre, si raccomandano misure di lotta alle pratiche discriminatorie e agli stereotipi di genere, come pure politiche effettive per la maternità e la paternità.
Infine, le politiche fiscali vengono applicate dai governi, allo scopo di contrastare le disuguaglianze. Tuttavia, nelle economie sviluppate, il declino della quota del reddito da lavoro e l’aumento della mobilità dei capitali compromettono l’efficacia di una redistribuzione, perseguita attraverso la tassazione. Per questa ragione, la riduzione delle disparità mediante manovre fiscali è garantita soprattutto dai sistemi di protezione sociale.
Valutazione d’insieme: servono azioni coordinate
Complessivamente, l’ILO richiede l’applicazione di politiche coerenti e complementari. Da un lato, si raccomanda il potenziamento delle misure di protezione sociale anche nell’otica di promuovere l’occupazione. Dall’altro, si sollecita il miglioramento dei sistemi di tassazione per garantire a tutti i lavoratori un’equa retribuzione. Così, la diminuzione delle disparità salariali si tramuta in un incremento dei consumi e della domanda aggregata, nonché in un’espansione della base imponibile e delle rendite governative, che conferisce continuità a questo circolo virtuoso, consentendo alle autorità di investire ulteriormente nei sistemi di protezione sociale. Al contrario, politiche governative tese esclusivamente a sollecitare le esportazioni, mediante l’applicazione di tagli ai salari, sono destinate a produrre benefici solo all’interno dei paesi che le adottano e sono un ostacolo alla crescita della domanda aggregata a livello globale, oltre che un pericoloso carburante per la proliferazione di dinamiche competitive interstatali.
Ilaria Armaroli
Laureata in Studi internazionali
@Ilaria_Armaroli