La produttività del lavoro in Italia? Ha il tasso di crescita più basso tra i principali paesi Ue (0,127 contro l’1,87 della Spagna e lo 0,3/0,4 di Francia e Spagna). Il costo del lavoro (per unità di prodotto), viceversa, e nonostante gli anni di crisi, è salito (in Germania, proprio grazie all’incremento della produttività, è addirittura diminuito dal 2004 al 2008. In Spagna è sceso costantemente dal 2008 a oggi). E da noi, pure, tasse e contributi, il cosiddetto cuneo fiscale, si confermano al top a livello europeo.
Così non sorprende che il Pil pro capite italiano sia ai minimi termini, e la crescita stenta ad arrivare anche per effetto di un scarso utilizzo del capitale umano: in Germania, per fare un altro esempio, dal 2005 al 2011 il numero di occupati è aumentato di 1,2 milioni di unità e il tasso di disoccupazione è sceso di quasi 5 punti, dall’11,7% al 7 per cento. Ma all’estero la situazione è sempre più rosea? Certamente, no. Tuttavia Francia, Germania e Spagna, ha evidenziato uno studio comparato realizzato da Adapt, hanno saputo rispondere alla recessione con riforme complessive del mercato del lavoro. Mentre noi siamo rimasti “incompiuti”, avendo dato, negli ultimi anni, solo risposte parziali e dettate dall’emergenza.
La ricerca, commissionata da Federdistribuzione, circa 213 mila addetti e un giro d’affari 2013 di 60,6 miliardi, ha messo a confronto crisi e performance economiche (e riforme del lavoro) a livello internazionale; e sono emersi spunti interessanti, una sorta di messaggio al Governo impegnato in questi giorni nell’attuazione del «Jobs act».
In primo luogo, per rilanciare la produttività, all’estero, si è puntato sui contratti decentrati, soprattutto nei comparti esposti alla concorrenza internazionale. In Francia la contrattazione di secondo livello è diffusa nelle grandi imprese. In Germania sono nati nuovi soggetti contrattuali in azienda: i «Comitati aziendali», e la contrattazione di settore avviene nei singoli Lander. Anche la Spagna ha scommesso sulla contrattazione territoriale: circa la metà della forza lavoro è coperta da contrattazione collettiva di rilevanza regionale (a fronte di un quarto di lavoratori coperti dai tradizionali Ccnl). Qui, inoltre, la contrattazione aziendale ha “priorità assoluta”, e potere derogatorio rispetto ai contratti di livello superiore. E l’Italia? Siamo ancora a metà del guado: nonostante gli incoraggiamenti economici e normativi la contrattazione aziendale non è ancora sfondata: «Certo la negoziazione di primo livello è importante, ma il decentramento verso i contesti aziendali vicini alle necessità di mercato delle singole imprese è uno strumento di flessibilità di cui avvalersi per recuperare efficienza organizzativa e produttività», ha commentato il numero uno di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli.
Strade e scelte (per ora) diverse anche per “modernizzare” il mercato del lavoro. In Francia, per esempio, gli interventi normativi hanno interessato pure il sistema scolastico. In Germania i servizi pubblici per l’impiego. Ed entrambi i paesi, oggi, «beneficiano di sistemi di alternanza scuola-lavoro e di relazioni industriali funzionali alla realizzazione di obiettivi di maggiore occupabilità e produttività del lavoro», è scritto nello studio Adapt, curato dal professor Michele Tiraboschi. Anche qui il confronto con l’Italia ci vede indietro: da noi l’alternanza stenta a decollare e i centri per l’impiego sono inefficienti, e frenano il decollo di «Garanzia giovani».