Nonostante l’andamento negativo dell’occupazione nel settore autonomo i professionisti italiani continuano a crescere di numero. Il fenomeno posto in luce potrebbe apparire, a prima vista, in forte contrasto con la generale tendenza del mercato del lavoro. Tuttavia, da una lettura più attenta si può rintracciare nel settore dei servizi professionali una sorta di safe area, nel medio e lungo termine, per molti lavoratori in cerca di un’occupazione.
Si potrebbe affermare che l’attuale crisi occupazionale, presente sia in ambito subordinato che autonomo, sia uno dei principali driver del “successo” delle professioni; sempre più lavoratori credono di poter rintracciare nel settore dei servizi professionali quelle occasioni, quel dinamismo e quelle nuove opportunità di lavoro che stanno venendo meno in altri ambiti.
A rafforzare questa lettura del fenomeno vi è la scarsa attrattiva, comparata con il passato, del settore professionale per quanto concerne i livelli reddituali: tra il 2012 e il 2014 ben il 44% dei professionisti ha subito una diminuzione consistente del proprio volume d’affari; il contraccolpo è stato ancora più elevato in alcuni settori specifici.
In linea con questo assunto una considerevole porzione di lavoratori – 13% secondo CENSIS – AdePP, Le Professioni in Italia: una Ricchezza per l’Europa, Roma, dicembre 2014 – dichiara di intraprendere la carriera professionale per necessità, a causa di circostanze impreviste o per mancanza di alternative. Per molti la decisione di diventare professionisti non è quindi frutto di un “sano” programma di crescita personale e professionale né, tantomeno, la conseguenza di una vera e propria scelta individuale.
Accanto a questo boom numerico vi sono altri fattori che avranno negli anni a venire un notevole impatto sul mercato dei servizi professionali: le nuove tecnologie, le liberalizzazioni e l’attuazione delle politiche europee per il mercato unico dei servizi.
Il driver rappresentato dallo sviluppo tecnologico è oggetto, in questi giorni, di un grande dibattito poiché le ricadute sulle professioni non sono, ad oggi, del tutto chiare. Sia gli studiosi sia gli addetti ai lavori si dividono equamente in diffidenti, catastrofisti, moderati ed entusiasti. Un dato, tuttavia, sembra condiviso da tutti: il mondo del lavoro è nel mezzo di una vera e propria rivoluzione e sia la definizione di “professione” sia le modalità in cui quest’ultima dovrà essere svolta non saranno risparmiate dal cambiamento a cui stiamo assistendo. Vi potranno essere conseguenze rivelanti per quanto riguarda i modelli di business, la distribuzione del reddito e l’accesso ai servizi professionali (Il Sole 24 Ore, Per le Professioni non Basta la Legge, Serve Innovazione, 2013).
Accanto a questo elemento, che avrà un forte impatto sulla “natura” delle professioni, vi è la spinta decisa verso nuove e più marcate liberalizzazioni, funzionali alla concorrenza, all’introduzione di economie di scala e all’avvento di nuovi modelli di business nell’alveo delle professioni. Basti pensare, da ultimo, al ddl concorrenza approvato venerdì 20 febbraio dal Consiglio dei Ministri, che si appresta ora ad essere discusso in Parlamento. Il Governo intende introdurre novità per i notai, gli ingegneri e gli avvocati, nonostante le forti resistenze delle categorie professionali.
Nello specifico gli elementi più rilevanti sembrano essere: il passaggio di alcune competenze dai notai agli avvocati, la possibilità per gli avvocati di partecipare a più associazioni, l’abolizione dell’obbligo per gli associati di detenere il domicilio professionale nella sede dell’associazione, l’incentivo verso le associazioni e le società multidisciplinari nonché l’apertura alle società di capitale per gli avvocati. Ove questa proposta di legge superasse l’iter parlamentare, sarà consentito il libero ingresso dei soci di capitali nelle società tra avvocati. Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione.
Anche a livello europeo sono in arrivo novità per i professionisti. Con la direttiva 2013/55/CE l’Unione Europea ha inteso dare nuovo impulso alla costituzione di un mercato unico europeo dei servizi e delle professioni regolamentate. Così, sebbene l’Unione non abbia mai espresso l’intenzione di liberalizzare tout court le professioni né, tantomeno, d’imporre agli Stati membri una revisione in peius del proprio diritto nazionale, in questi anni la Commissione Europea si è impegnata al fine di rimuovere le eventuali barriere all’ingresso che si frappongano tra i professionisti e la loro mobilità interstatale, in particolar modo ove queste ultime siano “superflue” o prive di giustificazione.
La direttiva 55 introduce uno strumento innovativo, destinato sia ai cittadini sia ai professionisti che intendano “esportare” i propri servizi nel territorio dell’Unione: l’European Professional Card (EPC). Si tratta di una tessera digitale, ottenibile dai professionisti al termine di una procedura elettronica, il cui scopo è quello di garantire le qualifiche professionali di un determinato soggetto sul territorio degli Stati membri d’interesse. I beneficiari dell’EPC vedranno riconosciute le proprie qualifiche professionali in tempi brevi e grazie allo Stato membro di origine, senza dover attendere l’intervento del paese di destinazione. Gli effetti di questa misura saranno quelli di favorire la mobilità e la concorrenza tra i professionisti degli Stati membri.
A confermare questo trend – decisa riduzione del volume d’affari, sia complessivo che individuale – vi sono le recenti manifestazioni svoltesi a Roma, organizzate da numerosi giovani professionisti e autonomi. Questa “coalizione sociale” di precari delle professioni e golden NEET (professionisti che non lavorano né studiano) chiede a gran voce maggiore attenzione. Molte sono le proposte: un nuovo sistema fiscale e previdenziale, programmi di youth guarantee da estendere anche ai professionisti, nuove attività di welfare integrato da parte delle Casse di previdenza a vantaggio dei soggetti in difficoltà.
La ricchezza rappresentata da questi lavoratori, testimonianza della vitalità presente in un paese troppo spesso brutalizzato, non deve essere sprecata. Se la situazione attuale è evidentemente negativa, nulla vieta di far sì che i fattori di rischio si tramutino in opportunità future. A tal fine, però, sia questa nuova “coalizione sociale” sia il legislatore dovranno, abbandonando antiche, reciproche e sterili posizioni, rendere l’Italia un paese leader nel mercato dei servizi professionali del “domani”. I giovani professionisti e le Istituzioni devono arrendersi all’idea che l’attività professionale è irrimediabilmente cambiata e lavorare guardando avanti.
A tal fine sono necessarie un nuovo sistema di formazione, che sappia rispondere alle sfide del futuro, meccanismi di welfare per i giovani professionisti, misure che favoriscano la concorrenza, la creazione di società di capitali capaci di affrontare la competizione con l’estero e un nuovo assetto normativo, sia fiscale sia previdenziale. Solo in questo modo si potrà evitare che i professionisti italiani del futuro siano sempre più numerosi ma sempre più poveri.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
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