Dopo quasi venti giorni dall’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del ddl su “La Buona Scuola” è stato finalmente pubblicato il testo ufficiale del provvedimento che ieri è stato presentato alla Camera. La proposta del Governo affronta diversi nodi della scuola italiana: l’autonomia e le responsabilità dei Presidi, la stabilizzazione degli insegnanti precari, la premialità per gli insegnanti già di ruolo, il collegamento scuola-lavoro, la necessità di nuovi percorsi didattici (più laboratorio, più inglese), la scuola paritaria.
“Scuola, lavoro e territorio” è infatti una delle parti potenzialmente più innovative del disegno di legge. Il tentativo di realizzare un effettivo sistema di alternanza scuola-lavoro, sia nei licei che negli istituti tecnici e professionali, e quello di coinvolgere aziende ed enti pubblici nell’offerta didattica vogliono scardinare l’attuale autoreferenzialità della scuola che spesso non riesce a collegare l’apprendimento in aula con la realtà lavorativa e produttiva dei nostri territori.
Il processo tuttavia non sarà facile, forse più lungo di quanto gli annunci lascino intendere. Colpi di lima sono più che necessari per sistemare, ad esempio, il sistema di incentivi alle imprese coinvolte nelle esperienze di co-progettazione o promuovere i migliori modelli di integrazione scuola-lavoro affinché diventino sistema e non casi isolati. Ancora non è chiaro il ruolo dell’apprendistato a scuola: se da un lato si stabilisce la fine della sperimentazione Carrozza dall’altro manca un collegamento effettivo tra il ddl scuola e il Jobs Act, mentre il Miur sembra assumere un ruolo di secondo piano rispetto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Per creare una vera svolta nel nostro sistema educativo il Governo chiede al Parlamento un atto di coraggio e una soluzione di continuità rispetto al passato: abbandonare le logiche corporative e realizzare una scuola aperta alle competenze e al lavoro. Sarà la volta buona?