I cambiamenti demografici legati all’invecchiamento della popolazione impattano anche sulle dinamiche della forza lavoro. Si stima che nel prossimo decennio l’età media della popolazione lavorativa raggiungerà i 50 anni con non pochi problemi legati alla possibilità di svolgere a lungo mansioni che richiedono forza fisica e capacità mentali che non sempre i lavoratori over 50 possono garantire.
Molto spesso, infatti, la possibilità di continuare a svolgere un’attività lavorativa è strettamente legata alle caratteristiche del lavoro stesso, influenzando quella che, ad oggi, è conosciuta come “work ability”, ovvero “la misura in cui un lavoratore è capace di svolgere il proprio lavoro nel presente e nel prossimo futuro, rispetto alle richieste della propria mansione ed alle proprie risorse mentali e fisiche” (J. Ilmarinen, Work ability – a comprehensive concept for occupational health research and prevention, Scandinavian Journal of Work, Environment & Health, vol. 35(1), pp. 1–5, 2008).
Per poter quantificare tale costrutto è stato sviluppato un indice, il Work Ability Index (WOA), strutturato in sette dimensioni, che pone la work ability in relazione alle richieste della mansione, alle malattie diagnosticate e ai permessi usufruiti (J. Ilmarinen, The Work Ability Index (WAI), Occupational Medicine, Vol 57, 2007).
Questo indice è stato utilizzato in diversi studi europei sul tema, stimando che i lavoratori con prepensionamenti precoci producono un calo della produttività valutabile circa in un 20% (J. Ilmarinen, Aging and work: an international perspective, in S. J. Czaja, J. Sharit, Aging and work: issues and implications in a changing landscape, The Johns Hopkins University Press, pp. 51–73, 2009).
Oltre ad adottare un’unità di misura per stimarla, la work ability è stata anche rappresentata graficamente attraverso la “Casa della work ability” (vedi Fig 1).
Il principio base di questa figura poggia sull’idea che le malattie croniche hanno diverse cause legate sia all’utilizzo di strumenti di lavoro non ergonomici che inducono a svariate patologie dell’apparato muscolo – scheletrico sia al progredire dell’età con l’insorgenza di patologie cronico-degenerative che influenzano il rendimento. Come si osserva nella figura, nei piani alti della Casa vi sono le competenze acquisite, i valori, la motivazione e la leadership che definiscono la capacità del lavoro di rimanere tale, nonostante le variabili della salute e dell’età.
Fig 1: la ”Casa della work ability”
(Fonte: J. lmarinen, Arbeitsfähig in die Zukunft, in M. Giesert, Arbeitsfähig in die Zukunft, Willkommen im Haus der Arbeitsfähigkeit, pag 22, 2011).
A fronte di questo scenario, l’Europa sta affrontando il problema attraverso la Strategia Europea 2020 che si propone di lanciare un messaggio di sensibilizzazione rivolto al contributo che le persone over 50 possono dare alla società. La sfida, che affronterà il mondo delle imprese, si baserà sulla capacità di definire una politica unitaria in grado di superare le dicotomie presenti tra le generazioni nei luoghi di lavoro.
Parte di questa opera di sensibilizzazione è portata avanti dal Workability Europe, una ONG riconosciuta dalla Commissione Europea, nata per promuovere l’impiego e l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità e che collabora con organizzazioni internazionali e sindacali, oltre che con altre importanti ONG. (http://cms.horus.be/site/99907/AboutUs.asp?DocID=8195).
Soffermandoci sull’esperienza che il Workability Europe ha sviluppato in diversi paesi europei nel corso dell’ultimo decennio, si può capire quanto siano rilevanti le politiche sociali e le buone prassi nel limitare l’esclusione dei lavoratori con malattie dal mercato del lavoro.
In Inghilterra, la Remploy Interwork, offre un servizio di reclutamento specializzato per le persone con disabilità o problemi di salute. Solo lo scorso anno la sua attività ha permesso di inserire professionalmente oltre 4300 persone (www.remploy.co.uk). Anche Shaw Trust, riconosciuta dal Governo come ente di promozione dell’impiego e della disabilità, aiuta circa 50.000 persone l’anno in Inghilterra, Scozia, Wales, sostenendole nella ricerca, collocamento e mantenimento del posto di lavoro (http://www.shaw-trust.org.uk/).
In Irlanda, è rilevante l’esperienza di Rehab Group che offre non solo formazione, educazione, servizi nel campo della salute e dell’assistenza sociale e di collocamento lavorativo per persone con disabilità, ma anche 9 società commerciali che impiegano direttamente forza lavoro integrata (http://www.rehab.ie/).
In Germania, la Bag WfbM, associazione federale di laboratori protetti per le persone gravemente disabili, da 40 anni, promuove il diritto delle persone disabili ad essere adeguatamente formati ed inseriti in un percorso professionale, attraverso un tirocinio lavorativo nella sua rete di 2.000 laboratori sociali (www.bagwfbm.de).
Anche la Spagna, attraverso la ONG Ehlabe, si pone l’obiettivo di aumentare le pari opportunità all’interno del mercato del lavoro e di fornire un ambiente lavorativo accessibile alle persone con disabilità. Concretamente, vengono offerte ai lavoratori occupazioni adeguate, sostegno professionale calibrato sulle necessità delle persone da inserire e garanzia di una retribuzione almeno pari ai minimi salariali (http://www.ehlabe.org/).
Formazione, sostegno, occupazione e percorsi professionali calibrati sono soluzioni differenti, ma che cercano di dare risposte al problema dell’inserimento lavorativo di soggetti disabili (o non più abili) e dell’impiego lavorativo degli over 50. Di fatto, gli studi e il modello presentato sulla work ability ci inducono a porre l’attenzione sul presupposto che la sicurezza e la tutela della salute sul posto di lavoro siano fattori di importanza primaria: quanto più sani sono i lavoratori, tanto più ridotti diventano i costi diretti e indiretti della malattia e tanto più alta, quindi, è la produttività.
Fabiola Silvaggi @Fabiola Silvaggi
Daniela Del Duca @DelducaD
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo