Al fianco degli strumenti ordinari di sostegno al reddito nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa (Cassa integrazione guadagni), la c.d. Riforma Fornero ha introdotto i fondi di solidarietà, volti ad ampliare il numero dei destinatari di una qualche forma di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro.
Con questo specifico fine, la legge ha previsto la costituzione di “Fondi di solidarietà per il sostegno del reddito per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale” (Fds), stabilendo che la loro costituzione possa avvenire secondo un modello generale (art. 3 comma 4 e ss.), alternativo (art. 3 comma 14 e ss.) o residuale (art. 3 comma 19 e ss.).
Se il primo modello lascia ampio spazio alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, in ordine alla libertà di procedere o meno alla costituzione di questi strumenti di sostegno al reddito, il secondo, quello alternativo, permette di ottemperare al dettato legale ricorrendo ai sistemi consolidati di bilateralità, mediante l’adeguamento delle fonti normative ed istitutive dei rispettivi fondi bilaterali esistenti ovvero dei fondi interprofessionali, di cui all’articolo 118 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388.
In ogni caso, la legge Fornero, con il fine ultimo di garantire il concreto raggiungimento dell’obiettivo che si poneva, vale a dire garantire la possibilità di ottenere sostegno al reddito per i lavoratori subordinati non coperti dagli ordinari strumenti di ammortizzazione sociale, ha previsto, quale norma di chiusura del nuovo sistema di sicurezza sociale, al comma 19 dell’art. 3, la creazione di un Fondo di solidarietà residuale. A tale fondo, istituito quale gestione separata INPS con decreto interministeriale n. 79141/2014, sono chiamati a contribuire le aziende, con requisiti dimensionali superiori ai 15 dipendenti, appartenenti a settori e tipologie di datori di lavoro non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, per le quali non sia stato stipulato alcun accordo costitutivo di fondo di solidarietà dei due precedenti modelli.
Ciò che ci si domanda è, allora, se la tutela pensata quale più generale possibile ed affidata, in ultimo al fondo residuale ed al suo corretto funzionamento, sia oggi, a distanza di oltre un anno dalla creazione dello stesso, divenuta realtà. Ad una prima analisi, la risposta non può che essere negativa. Vediamo meglio perché.
Concretamente, il fondo residuale si presenta quale una gestione separata INPS, il cui funzionamento può evincersi, oltre che dal già richiamato decreto istitutivo n. 79141/2014, anche dalla circolare n. 100/2014 e dai messaggi nn. 6879 e 8673 del 2014, emanati dallo stesso ente. Il meccanismo per poter contribuire al fondo è, di per sé, semplice. L’INPS verifica, prima di tutto, i casi di esclusione dalla contribuzione riconducibili al fatto che determinate aziende siano già destinate a contribuire ai fondi di cui al comma 4 o 14 dell’art. 3, oppure siano coinvolte in procedimenti di creazione o adeguamento degli stessi ancora in corso o ancora escluse sulla base del codice Ateco2007 attribuito (si veda in proposito il messaggio INPS n. 8673/2014). Dopo di che, attribuisce alle restanti aziende, in via centralizzata, il codice “0J” (zero J), vale a dire “azienda tenuta al versamento dei contributi ex D.I. n. 79141/2014 (Fondo solidarietà residuale)”, dando il via all’obbligo contributivo.
Il problema, a questo punto nasce per quelle situazioni “di confine”. Un esempio è il caso delle imprese classificate, a fini previdenziali, quali appartenenti al settore artigiano, ma che non applicano il relativo contratto collettivo nazionale di lavoro, avendo optato per uno differente, che non prevede in alcun modo la costituzione e/o esclude la partecipazione ad un fondo di solidarietà, di cui ai modelli generale o alternativo.
Di fatto, quindi, tali imprese si ritrovano in un “vicolo cieco”. Prima di tutto, a tali imprese non sono di norma applicabili le norme in materia di integrazione salariale e l’ordinario meccanismo degli ammortizzatori sociali. Inoltre, le stesse, non applicando un ccnl del settore artigiano, non possono contribuire e, quindi, trovare protezione nell’Ente bilaterale delle aziende artigiane e nel relativo fondo di solidarietà bilaterale (FSBA).
Tali aziende dovrebbero pertanto versare al fondo di solidarietà residuale, se non ché l’INPS, probabilmente considerando coincidenti e sovrapponibili l’insieme delle imprese artigiane esistenti e quello delle aderenti al FSBA, ha del tutto escluso le imprese artigiane dalla possibilità di attribuzione del codice “OJ”, rendendo così di fatto impossibile, anche volendolo, contribuire al fondo residuale (si veda in proposito la tabella allegato 1 dal messaggio INPS n. 8673/2014).
Quindi, se è vero che, per espressa indicazione dell’ente previdenziale, l’iscrizione al Fondo residuale rimane subordinata alla verifica dei requisiti previsti dalla normativa, è altrettanto vero che l’INPS non pare al momento aver realizzato una completa mappatura della casistica delle imprese chiamate a contribuire al fondo, né una modalità di gestione dei casi residuali ed eccezionali.
Il fatto non è di poca importanza se si pensa che l’obbligo di contribuzione al fondo residuale, per le imprese che ne hanno i requisiti, discende dalla legge e che le conseguenze della mancanza di copertura del rischio, in caso di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, non vengono sopportate né dalle aziende, né dall’INPS, ma solo dai lavoratori. Peraltro, occorre ricordare che l’INPS non ha ancora definito le modalità di erogazione delle prestazioni del fondo.
Daniela Del Duca
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@DelducaD