Il quadro delineato dagli ultimi dati Istat relativamente al bilancio demografico nazionale dà evidenza del graduale invecchiamento della popolazione italiana.
Lo dimostra il continuo innalzamento dell’età media, che al 31 dicembre 2014 era pari a 44,4 anni (in costante aumento di due decimi all’anno nel periodo 2011-2014), e il maggiore squilibrio, rispetto al passato, dei rapporti intergenerazionali tra le principali componenti della popolazione (giovani, adulti, anziani). I recenti dati (si veda la tabella 1), infatti, evidenziano, da un lato, il crollo delle nascite (con il numero dei nati che è diminuito del 2,3% rispetto al 2013) e la conseguente riduzione della popolazione con età inferiore ai 15 anni, pari al 13,8% nel 2014 (registrando una diminuzione di 2 punti decimali rispetto al 2011); e dall’altro, confermano l’aumento della popolazione anziana (65 anni e oltre) che è pari al 21,7%, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. La popolazione in età attiva (15-64 anni), invece, prosegue la sua contrazione passando da un valore superiore al 65% (2011) al 64,5% (2014).
Il bilancio dell’Istat rileva tuttavia differenze a livello territoriale. Nel Nord e nel Centro del Paese il disequilibrio tra giovani e anziani è particolarmente accentuato: la percentuale di giovani fino a 14 anni raggiunge il valore del 13,7% al Nord e 13,4% al Centro, mentre gli over 65 oltrepassano la quota del 22%. Nel Mezzogiorno, invece, tale disequilibrio è più contenuto, grazie al fatto che a un 19,8% di ultrasessantacinquenni si contrappone un 14,2% di giovani fino a 14 anni di età.
Tabella 1
0-15 anni | 15-64 anni | Over 65 | |
2011 | 14,0% | 65,1% | 20,8% |
2014 | 13,8% | 64,5% | 21,7%, |
Tra le principali conseguenze derivanti da tali squilibri è rilevante evidenziare l’innalzamento dell’indice di dipendenza strutturale, ossia il rapporto tra la popolazione in età inattiva su quella attiva, che al 31 dicembre 2014 era pari al 55,1% contro il 53,5% del 2011, e anche il significativo incremento dell’indice di vecchiaia, ossia il rapporto tra la popolazione over 65 e quella con meno di 15 anni, che è passato dal 148,6% del 2011 al 157,7% del 2014.
Figura 1. Piramide della popolazione italiana al 31.12.2004 e al 31.12.2014
Un simile squilibrio tra popolazione attiva e inattiva, che invero non riguarda solo l’Italia ma la maggior parte dei Paesi dell’Unione europea, non può che avere effetti dirompenti sulle dinamiche del mercato del lavoro, laddove la demografia rappresenta uno dei principali fattori di cambiamento di tali dinamiche (si veda F. Sperotti, Demografia e mercato del lavoro: i cambiamenti dei prossimi quarant’anni, in Diritto delle Relazioni Industriali, Numero 1/XXI-2011, Giuffrè Editore, Milano). Come confermato dal report della Commissione europea, The 2015 Ageing Report, nell’UE è previsto un aumento dell’old age dependency ratio (percentuale di persone di 65 anni o più rispetto a quelle di età compresa tra 15-64 anni) dal 27,8% al 50,1% nel periodo 2013-2060. Ciò implicherebbe un passaggio da quattro a due persone in età lavorativa per ogni persona di età superiore ai 65 anni, mettendo così a dura prova la sostenibilità dei sistemi di welfare e rendendo necessario ridurre la spesa sociale, o espandere in modo significativo la tassazione per finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria.
Una soluzione che è stata proposta dall’Unione europea nella strategia Europe 2020 for smart, sustainable and inclusive growth consiste nel raggiungimento di due obiettivi: l’innalzamento dell’effettiva età pensionabile e l’aumento della percentuale di occupati tra la popolazione in età lavorativa. Obiettivi ripresi dal recente concept paper Eurofound, Sustainable work over the life course, il quale ha evidenziato come una maggiore partecipazione al mercato del lavoro non possa essere ottenuta senza i necessari adattamenti del lavoro stesso alle mutevoli esigenze dei lavoratori a lungo termine. Il paper riconosce quali dimensioni principali per la sostenibilità del lavoro lungo tutto l’arco della vita lavorativa, le caratteristiche del lavoro (qualità del lavoro) e le circostanze individuali (abilità al lavoro) ed afferma che queste due dimensioni dovrebbero confluire in un modello integrato. La qualità del lavoro, infatti, può avere un forte impatto sulla salute e sul benessere del lavoratori, sullo sviluppo delle competenze e sulla capacità di conciliare lavoro e vita privata; così come le circostanze individuali (tra cui la salute e i bisogni di cura) possono mutare lungo la vita lavorativa e compromettere l’abilità al lavoro.
Seguendo tale impostazione, i cambiamenti demografici e l’invecchiamento della popolazione, lungi dal rappresentare aspetti marginali nell’evoluzione del mercato del lavoro, devono essere affrontati avendo una visione d’insieme che garantisca un match tra il miglioramento della qualità del lavoro e la valorizzazione dell’abilità (anche parziale) al lavoro, favorendo l’allungamento della vita lavorativa ed evitando un’uscita prematura dal mercato del lavoro.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
* Pubblicato anche in Nòva, Il Sole 24 Ore, 1° luglio 2015.