Le norme sul collegamento scuola-lavoro in Italia sono state recentemente rinnovate dalle due riforme, quella del lavoro e quella della scuola, che tentano di perseguire (almeno secondo le intenzioni) una via italiana al sistema duale. Jobs Act e Buona Scuola incidono rispettivamente sulla modifica della tipologia contrattuale dell’apprendistato (articoli 41 e ss. d.lgs. n. 81/2015) e sulla obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro (articoli 35 e ss. l. n. 107/2015). Entrambe le riforme rientrano nel commitment dell’Italia che ha aderito, anche con un programma operativo, all’Alleanza europea per gli apprendistati. L’obiettivo è quello di mettersi al passo con le migliori esperienze europee e tentare di ridurre sia il tasso di disoccupazione giovanile sia i tempi di transizione alla vita attiva.
Se nelle dichiarazioni del Governo la riforma del lavoro e quella della scuola sembrano integrarsi è ancora oscuro come sarà possibile collegare le novità sull’apprendistato con le novità dell’alternanza obbligatoria. Nelle prime bozze di riforma scolastica, seppur accennato, era presente un collegamento tra alternanza (considerata come metodologia di formazione sul lavoro) e apprendistato (considerato nei suoi aspetti tecnico-contrattuali). Nelle successive versioni della norma, fino a quella approvata con la l. n. 107, dell’apprendistato non vi è più traccia.
Qualche indicazione in più, ma non del tutto esaustiva, si trova nella recente Guida operativa per l’alternanza inviata dal Miur a tutti i dirigenti scolastici di scuola superiore. La Guida riprende gli orientamenti europei e dichiara il favor del legislatore nei confronti dell’alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato di primo livello. Il testo al punto 10 non manca di rilevare le differenze tra alternanza e apprendistato: la prima è una metodologia che non prevede un rapporto di lavoro tra studente e datore, il secondo è un contratto che invece giuridicamente fa dello studente un lavoratore con relativi obblighi e diritti.
La precisazione della Guida operativa, oltre ad un relativamente apprezzabile carattere riassuntivo, non aiuta tuttavia i dirigenti scolastici a fare chiarezza su come favorire percorsi di apprendistato a scuola. Due gli aspetti più oscuri: il primo riguarda le caratteristiche che il datore di lavoro deve avere per l’attivazione dei contratti di apprendistato (capacità strutturali, tecniche, organizzative/professionali, formative): esse sono enumerate ma non si dice chi le verifica e ne valuta la coesistenza nel tempo.
Il secondo riguarda la precisazione che l’apprendistato coinvolga solo studenti che manifestano «specifico interessamento» con un’apposita domanda individuale (redatta dai genitori se minorenni). Sarà poi la scuola, di concerto con il datore di lavoro, ad informare il candidato apprendista sui criteri di selezione, misure di sicurezza e igiene, obblighi e diritti del “doppio status di studente e lavoratore”. In questo caso non si fa nessun cenno all’iniziativa del datore di lavoro nei processi di selezione e reclutamento né a quello degli uffici di placement della scuola (che dovrebbero pubblicare i CV degli studenti interessati).
Restano inoltre zone grigie nei distinguo che la Guida fa sull’ambiente formativo. Si precisa che nel caso dell’alternanza la «formazione esterna» è in azienda, mentre nel caso dell’apprendistato la «formazione esterna» è a scuola. Questa considerazione sul luogo della formazione è confusa perché parte dal presupposto che esistono spazi privilegiati e spazi accessori nei percorsi di work-based learning: una formazione che invece, così come mostrano i modelli europei, concettualmente è integrazione scuola-azienda e non alternanza di tempi e spazi separati per la formazione (nel senso di prima a scuola e poi in azienda o l’inverso).
Nonostante la Guida Operativa è tuttora difficile capire se l’apprendistato possa concorrere ad assolvere l’obbligo di alternanza (400 ore nell’ultimo triennio di istituti tecnici e professionali, 200 ore nei licei). La logica vorrebbe una risposta affermativa, ma la Guida sembra suggerire il contrario. Nel testo infatti viene dato un suggerimento ai presidi: quello di attivare prima percorsi di alternanza scuola-lavoro per tutti, con funzioni orientative, e solo in un secondo momento offrire ad anche un’opportunità di contratto di apprendistato, magari nella stessa azienda che ha ospitato il percorso di alternanza, per completare la formazione dello studente. Si cita infine il Progetto Enel di apprendistato a scuola, che coinvolge 145 studenti di 4° e 5° anno di istituti tecnici elettrici come fonte di possibili spunti per l’attivazione futura di percorsi di apprendistato.
L’impressione è che il paragrafo 10 sia stato scritto senza un puntuale riferimento alle premesse, quasi fosse stato redatto in tempi e da persone distinte. Non si avverte peraltro la necessità di una precisazione dello status del giovane: “studente” in alternanza e “studente-lavoratore” in apprendistato. A parte i dubbi interpretativi sulla locuzione “studente-lavoratore”, curioso è che nel fac-simile di convenzione sull’alternanza, proposto dalla stessa Guida operativa, si sostiene che «Ai fini e agli effetti delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 81/2008, lo studente in alternanza scuola lavoro è equiparato al lavoratore».
Più in generale la Guida si concentra con insistenza più sulle definizioni che sulla effettiva operatività delle azioni: basti vedere i pochi cenni che riguardano la co-progettazione e la co-valutazione sia dell’alternanza che dell’apprendistato. E invece è proprio qui che bisogna dettagliare le interazioni tra scuola e azienda perché solo garantendo all’impresa di entrare nella progettazione e nella valutazione dei percorsi si può incentivarla ad attivarli.
La sensazione è che il successo o l’insuccesso delle iniziative di collegamento scuola-lavoro dipenderà ancora moltissimo dalle buone intenzioni personali di presidi, insegnanti e imprenditori pro-attivi e non dagli obblighi normativi. Ancora una volta sembra eccessiva la centralità attribuita alla scuola e alle sue procedure: un possibile disincentivo all’attivazione dell’interesse delle imprese, specie le PMI, che non hanno un apparato amministrativo e formativo in grado di ridurre e semplificare passaggi burocratici che sembrano sopravvissuti sia alla riforma dell’alternanza che a quella dell’apprendistato.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo