Complici le crisi geopolitiche in Medio Oriente e una sensibile ripresa economica a livello globale, i fenomeni migratori sono oggi una delle maggiori sfide su cui si gioca il futuro dei Paesi ed uno dei temi più divisivi che l’Europa abbia dovuto affrontare negli ultimi anni. Secondo l’OCSE (International Migration Outlook 2015), nel 2014 almeno 4,3 milioni di persone hanno abbandonato, per scelta o necessità, il proprio Paese di origine, stabilendosi in via permanente in altri Stati.
Le stime dell’OCSE mostrano chiaramente la portata inedita e la composizione eterogenea dei recenti flussi migratori, confermando come ormai il fenomeno costituisca una componente strutturale delle nostre economie e società. Ciò significa che le migrazioni non possono più essere interpretate come fenomeni puramente cilici o indipendenti, ma devono essere lette nel più ampio contesto del processo di globalizzazione che muove beni, alloca servizi, sposta i capitali ed ora anche le persone. La Commissione europea prevede inoltre che le emergenze umanitarie in corso non rientreranno in tempi brevi, dando origine a nuove ondate migratorie che gli Stati membri dovranno prepararsi ad assorbire e che porteranno i nuovi ingressi a quota 3 milioni entro il 2017.
Non sono comunque tanto i numeri a impressionare gli esperti, bensì l’incapacità dei Paesi europei di elaborare una risposta coordinata ad un problema strutturale come quello migratorio. Come si legge anche nel report OCSE, gran parte delle proposte finalizzate all’integrazione riguarda «progetti locali di piccole dimensioni e di breve durata» o iniziative «poco coordinate tra loro e con una generale mancanza di consapevolezza su ciò che funziona o meno». Ad oggi, molti Paesi sembrano aver subito passivamente i processi migratori. Un atteggiamento di indolenza, quello dei governi, che spesso non consente alle spese per l’accoglienza di trasformarsi in investimento e valorizzazione delle credenziali educative degli stranieri, ma che invero produce solo spreco di risorse, impedendo all’economia di trarre dall’immigrazione i maggiori benefici possibili.
È infatti opinione condivisa da molti accademici ed organizzazioni internazionali che i Paesi possano trarre vantaggio dall’immigrazione per soddisfare i fabbisogni del mercato del lavoro e allentare la pressione demografica che la popolazione anziana esercita sulle fasce giovani. Malgrado le considerevoli spese che le finanze pubbliche devono inizialmente affrontare per accogliere i flussi in entrata, le attuali migrazioni rappresentano una finestra di opportunità per tutta la comunità internazionale. Nel lungo periodo, infatti, i fenomeni migratori veicolano lo sviluppo e la ripresa economica di quei Paesi che sanno integrare con successo gli stranieri nel mercato del lavoro e che costruiscono per loro adeguati percorsi di inserimento in società.
Impatto dell’immigrazione su demografia e welfare
Da alcuni decenni il bilancio demografico europeo non gode di buona salute. Oggi, le persone vivono più a lungo e meglio, mentre le donne fanno meno figli e più tardi. La Commissione europea prevede che il tasso di dipendenza degli anziani dalla popolazione in età lavorativa raddoppierà, passando dal 27,8% al 50,1% nel periodo 2013-2060. In altre parole, oggi sono quattro le persone a caricarsi sulle spalle il peso di un anziano. Domani saranno solamente due. L’Europa racchiude il 7% della popolazione mondiale, produce il 25% del Pil e spende circa il 50% della spesa globale per il welfare. Come ha anche ricordato il cancelliere tedesco Angela Merkel, si tratta di costi non più sostenibili e «gli abitanti dell’Unione europea dovranno darsi molto da fare per mantenere lo stesso stile di vita». Oppure, aprire le porte agli immigrati.
Contraltare al rapido invecchiamento della popolazione possono essere appunto i movimenti migratori, che contribuiscono ad alterare il volto della demografia dei Paesi di destinazione. Se guardiamo alla composizione demografica dell’Italia, gli stranieri residenti sono circa 5 milioni, pari all’8,2 per cento del totale della popolazione. Nel 2050 rappresenteranno un quinto della popolazione, mentre quasi un italiano su quattro avrà più di 75 anni. Questo significa che, mentre nei prossimi decenni la popolazione italiana è destinata ad invecchiare, tra gli stranieri aumenteranno gli adulti in età lavorativa.
Una migrazione ben governata può essere dunque una risposta possibile, insieme ad altre, per invertire la china del declino demografico. I flussi migratori si compongono infatti in buona parte di giovani lavoratori ed il loro ingresso nel circuito del lavoro regolare ha il vantaggio di ringiovanire la forza lavoro e di ossigenare le casse dei sistemi di welfare, in particolare di quelle previdenziali, che rappresentano la voce più costosa delle politiche sociali dei Paesi.
Impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro
Negli ultimi dieci anni, la forza lavoro europea è cresciuta del 70% grazie alle braccia degli immigrati. Tacciati di “rubare” il lavoro alla popolazione locale, gli stranieri si concentrano invero in segmenti dell’economia poco produttivi e che si alimentano di un costante fabbisogno di manodopera. Agricoltura, edilizia e servizi di cura sono i settori in cui hanno origine veri e propri fenomeni di segregazione occupazionale degli immigrati, oltre ad essere i primi comparti produttivi ad essere falciati nei periodi di recessione. Queste occupazioni sono spesso poco promettenti in termini di crescita professionale e retribuzioni, rivelandosi dei veri e propri vicoli ciechi per la carriera. Lavori che i locali non sono disponibili a svolgere neanche quando il mercato soffre di alti tassi di disoccupazione.
Trattenere gli stranieri nel circuiti formali del mercato del lavoro è anche sinonimo di tasse. Molti governi lamentano pratiche di turismo del welfare ad opera degli immigrati. In realtà, l’OCSE stima che, nella maggior parte dei Paesi, il saldo fiscale migratorio sia positivo. Gli immigrati versano più tasse dei contributi che ricevono e in Italia è stato di recente calcolato che il bilancio della presenza straniera è in attivo: nel corso degli anni, l’immigrazione ha portato 3,9 milioni di euro nelle casse dello Stato.
Le migrazioni sono dunque potenziali leve di sviluppo per l’economia dei Paesi di destinazione. Tuttavia, non si può guardare ai fenomeni migratori con ingenuità e considerarli un facile carburante adatto a rinfocolare le economie occidentali che da anni arrancano sotto i colpi della recessione. L’immigrazione ha un valore e per comprenderlo è necessario ragionare oltre la semplice politica delle quote e del ricollocamento, superare la miopia delle politiche orientate ai fabbisogni di breve periodo del mercato del lavoro. La piena comprensione del valore racchiuso negli odierni flussi migratori è una premessa necessaria per disegnare efficaci politiche di integrazione e non può in alcun modo prescindere dalle precedenti considerazioni fatte in merito ai trend demografici e alle trasformazioni in atto nel mercato del lavoro.
Laureata in Scienze internazionali e diplomatiche
Università di Bologna
@Elena_Prodi