Nuova procedura delle dimissioni on line: una diversa lettura delle norme

Come ormai noto, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 26, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, il Decreto Ministeriale (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) del 15 dicembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 gennaio 2016, n. 7, ha dettato le modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

 

La nuova procedura ha destato non poche preoccupazioni, in particolar modo per l’ipotesi in cui il dipendente “lasci” il posto di lavoro senza ottemperare alla procedura telematica.

 

Per chiarezza ricordiamo che, a far data dal 12 marzo 2016, a pena di inefficacia e non di nullità, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate dal predetto Decreto Ministeriale.

 

Ci si è chiesto cosa accade laddove il lavoratore non adempia alla predetta procedura, ma piuttosto, abbandoni il posto di lavoro ovvero si limiti a consegnare una comunicazione scritta per rassegnare le proprie dimissioni.

 

Di fronte alle ipotesi suddette in tanti hanno suggerito di procedere con licenziamento disciplinare ex art. 7, Legge 20 maggio 1970, n. 300, attraverso la contestazione delle assenze ingiustificate, con inevitabile aggravio di costi a carico delle imprese (ticket licenziamento per finanziamento NASpI) e della finanza pubblica (indennità di disoccupazione).

 

Veniamo, dunque, alla diversa ipotesi di lettura delle norme in questione.

 

Preliminarmente occorre ricordare che il legislatore delegato (i.d. Governo) ha emanato il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, che lo ricordiamo, all’art. 1, comma 6, lett. g) dispone i seguenti princìpi e criteri direttivi: «previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore».

 

Il Governo, con la nuova procedura telematica, ha praticamente ignorato l’ipotesi in cui il dipendente rassegni le dimissioni per comportamento concludente.

 

A questo punto perché unitamente alle norme del codice civile e della stessa legge 183 del 2014 non consideriamo l’atto unilaterale del dipendente dimissionario efficace tra le parti (datore/lavoratore) ed eventualmente inefficace solo nei confronti dei terzi.

 

Infatti, con la disposizione dell’art. 1334 c.c. – norma a carattere generale – «gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati», dunque il comportamento concludente del dipendente dimissionario produce l’effetto (dimissioni) nel momento in cui la dichiarazione entra nella sfera di percezione del destinatario (datore di lavoro).

 

Qualcuno direbbe che la delega della legge 183 è rimasta inattuata!

 

Noi rispondiamo che utilizziamo la legge delegata fin dove è possibile (fin dove il dipendente rassegni le dimissioni con le modalità previste dal DM); laddove ciò non sia fattibile, per negligenza del lavoratore stesso, ci rifiutiamo di “trasformare”, senza alcuna logica giuridica, l’atto unilaterale del lavoratore.

 

A supporto invochiamo – ai fini dell’efficacia tra le parti (probabilmente non nei confronti dei terzi) dell’atto di dimissioni – l’art. 1334 c.c. e la stessa legge delega che, oltre a dettare princìpi e criteri direttivi ha disposto, lo ribadiamo, la «necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente.»

 

A tal proposito, ed anche per giustificare sul piano giuridico la diversa lettura delle norme, segnaliamo la statuizione del giudice delle leggi del 1990 che, nel definire i caratteri della legge delega ha precisato: «sotto il profilo formale la legge delega è il prodotto di un procedimento di legiferazione ordinaria a sé stante e in sé compiuto e, pertanto, non è legata ai decreti legislativi da un vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto a questi ultimi, entro una medesima e unitaria fattispecie procedimentale. Sotto il profilo del contenuto, essa è un vero e proprio atto normativo, nel senso che è un atto diretto a porre, con efficacia “erga omnes”, norme (legislative) costitutive dell’ordinamento giuridico: norme che hanno la particolare struttura e l’efficacia proprie dei “principi” e dei “criteri direttivi”, ma che, per ciò stesso, non cessano di possedere tutte le valenze tipiche delle norme legislative (come, ad esempio, quella di poter essere utilizzate, a fini interpretativi, da qualsiasi organo o soggetto chiamato a dare applicazione alle leggi) Corte cost., 04-05-1990, n. 224.»

 

Candido Mogavero

Consulente del Lavoro

ADAPT professional fellow

 

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