Con la trasmissione da parte del Governo al Senato dello schema di decreto delegato in materia di licenziamento disciplinare dei dipendenti pubblici, che falsamente attestano la loro presenza in servizio, sembra utile commentare come possa incidere realmente, da un punto di vista giuridico, l’integrazione all’art. 55-quater del D. Lgs. 165/2001 anche alla luce dei fatti avvenuti in questi mesi passati. Con tale prescrizione normativa si vorrebbe rendere più solida la prescrizione normativa in tema di sanzioni ai dipendenti che falsamente prestino servizio nell’amministrazione. Con la legge delega (cd. Riforma Madia) ed in particolare con tale provvedimento specifico all’esame del Senato si realizza un irrigidimento delle sanzioni e un’accelerazione del procedimento disciplinare a carico del dipendente: cambiamento questo che avrebbe un effetto sicuramente espulsivo dei cd. “furbetti del cartellino”.
Con l’AG 292, il Governo invita le Commissioni parlamentari competenti (in particolare quella degli Affari costituzionali e quella del Lavoro) a esprimersi in merito allo schema di decreto legislativo recante modifica dell’art. 55-quater del D. Lgs. 165/2001 in riferimento alle disposizioni in materia di licenziamento disciplinare dei pubblici dipendenti. Alla luce dell’art. 17, comma 1, lett. s) della L. 124/2015 (c.d. Legge Madia), il Governo sottopone alle Commissioni il testo di modifica dell’art. 55-quater del D. Lgs. 165/2001 con l’introduzione di norme più stringenti in materia di responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici e dei dirigenti. Così facendo, il legislatore intende provvedere ad ampliare la punibilità prescritta della stessa lett. a), comma 1 dell’art. 55-quater del D. Lgs. 165/2001 tramite l’introduzione di strumenti più rigidi e specifici.
Il comma 1-bis prevede la punibilità anche dei terzi che abbiano facilitato, concorso o attestato tramite comportamenti fraudolenti la falsa presenza in servizio dei colleghi. La ratio dell’ampliamento anche per i terzi della sanzionabilità del comportamento illecito in oggetto dovrebbe generare una maggiore efficienza e facilità a ridurre tale pratica, anche tramite l’utilizzo, nei limiti fissati dalla legge, di dispositivi di controllo delle presenze e degli accessi agli uffici.
Attraverso l’inserimento del comma 3-bis viene prevista la sospensione cautelare – istantanea o entro e non oltre 48 ore – che comporta il blocco stipendiale del dipendente che ha commesso il reato di falsa attestazione in servizio, tramite un atto datoriale motivato redatto dal responsabile o in sua mancanza dall’UPD. La sospensione cautelare dal servizio e dallo stipendio, escluso il contributo assistenziale dell’assegno alimentare, diventerebbe a tutti gli effetti una sanzione espulsiva (ulteriore rispetto quelle prescritte dalla legge, dai CCNL di riferimento e dal Codice Disciplinare che già prevedevano se pur non così chiaramente), preventiva allo svolgimento del procedimento disciplinare che terminerebbe con un licenziamento per giusta causa.
Il comma 3-ter prevede per tale fattispecie l’accelerazione del procedimento disciplinare a carico del dipendente che deve concludersi entro e non oltre 30 giorni. L’inizio ed il termine perentorio dei 30 giorni entro il quale il procedimento deve concludersi, come viene osservato dai pareri conferiti dal Consiglio di Stato e dalla Conferenza Unificata, non risulta chiaro. I 30 giorni decorrono dal momento in cui il dipendente è stato colto in flagranza di omissione dell’obbligazione contrattuale di lavoro o al momento della notifica della contestazione disciplinare? O ancora, il procedimento si deve concludere entro 30 giorni perentoriamente ed indipendentemente dalle ulteriori disposizioni contenute negli artt. 55 e ss. del D. Lgs. 165/2001 in merito ai termini del procedimento disciplinare o valgono tout court le regole previste sulla sospensione del procedimento disciplinare nei casi gravi e complessi, come d’altronde quello in oggetto, sino alla sentenza penale di condanna o assoluzione? Nel comma 3-ter si dovrebbe prevedere l’esclusione delle ulteriori previsioni normative contenute negli artt. 55 e ss. del D. Lgs. 165/2001 per il c.d. “procedimento disciplinare accelerato”, attraverso una chiara previsione scritta, così da rendere snella tale procedura “velocizzata” e non rallentata invece dalle altre previsioni normative, che genererebbero ancor più lentezza, in quanto tale tipologia di inadempimento è talmente grave da poter allungare i tempi del procedimento.
Con la previsione del comma 3-quater viene introdotta l’azione di responsabilità per danno all’immagine recato all’amministrazione dal dipendente o dai terzi che hanno falsamente attestato la presenza in servizio. La misura del danno, da liquidare monetariamente, deve essere valutata dal giudice al quale vengono trasmessi gli atti entro 15 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare congiuntamente alla segnalazione alla Corte dei Conti (Sezione Regionale di riferimento), in base alla rilevanza del fatto commesso, fermo restando che non può comunque essere inferiore a sei mesi dall’ultimo stipendio in godimento. Il parere del Consiglio di Stato esclude che “l’ammontare del danno possa essere valutato in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione, trattandosi di un parametro mediatico estraneo alla condotta del dipendente”. La previsione definisce un ammontare minimo del danno da erogare, con la possibilità che il giudice, qualora accerti che l’inadempimento ed il fatto posto alla base del contradditorio sia ancor più grave e lesivo, ordini una maggior somma da liquidare come danno all’immagine a favore dell’amministrazione lesa, accessoria ed ulteriore a quella fissata dalla legge.
Nel comma 3-quinquies si sposta l’attenzione sulla figura del dirigente, quale datore di lavoro pubblico. Infatti, il comma in oggetto estende anche al dirigente, quale responsabile delle proprie risorse umane afferenti al suo ufficio che sottostanno al suo potere datoriale, la responsabilità per inadempimento. L’omessa attivazione del procedimento disciplinare da parte del dirigente o dal responsabile dell’ufficio non avente qualifica dirigenziale nei confronti del dipendente che ha falsamente attestato la sua presenza in servizio costituisce illecito penale ai sensi dell’art. 328 c.p., costituendo giusta causa di licenziamento. Il Consiglio di Stato, nel parere conferito in merito allo schema di decreto ed in particolare riferimento a tale comma, rileva giustamente che l’ampliamento della responsabilità penale ai sensi dell’art. 328 c.p., in merito all’omissione dell’attivazione del procedimento disciplinare, non si possa assoggettare ai dirigenti. L’art. 328 c.p. punisce il rifiuto del pubblico ufficiale all’emanazioni di atti aventi natura “pubblicistica” nei confronti dei terzi e non “privatistica” nei confronti delle risorse umane a lui subordinate. Tale confusione genererebbe innanzitutto una problematica applicazione della norma, in quanto il comma 1 dell’art. 328 c.p. fa riferimento al rifiuto di emanare atti di natura esterna inerenti a ragioni di sicurezza, giustizia e ordine pubblico ed il comma 2 agli atti amministrativi ai sensi della L. 241/1990 sul Procedimento Amministrativo.
L’equiparazione all’utilizzo della stessa sanzione espulsiva del licenziamento sia a carico del dipendente che ha falsamente attestato la sua presenza in servizio sia a carico del dirigente che non ha attivato il procedimento disciplinare risulterebbe sproporzionata e inadeguata. Oltremodo dovrebbe chiarirsi nel testo dello schema di decreto anche ciò che fa riferimento, come il Consiglio di Stato sottopone nel parere indicato, all’unicità della sanzione del licenziamento applicabile ai dirigenti come unica via.
Infine un ultimo rilievo di carattere normativo, che sembra utile notare in tale analisi, anche in relazione allo schema di decreto è quello in riferimento all’atto del dirigente (o del responsabile non avente qualifica dirigenziale) di contestazione dell’addebito, assoggettabile alla sfera privatistica interna (atto meramente datoriale). Se esso non venisse emanato configurerebbe un inadempimento per responsabilità dirigenziale (art. 21 D. Lgs. 165/2001) per violazione del dovere di vigilanza sulle risorse umane e non invece disciplinare. La responsabilità disciplinare, tramite la lettura molto estensiva della nuova previsione, configurerebbe un possibile danno erariale in quanto il dipendente non prestando servizio presso l’amministrazione datrice di lavoro avrebbe causato una perdita economica alla stessa giustificabile dalla mancata prestazione di lavoro e dal pagamento della remunerazione per la prestazione non erogata. Il dirigente che non ha provveduto ad attivare il procedimento disciplinare sarebbe e potrebbe esser quindi assoggettabile a tale fattispecie giustificata dalla mancata attenzione alle proprie risorse umane, giustificabile sul piano legale, ma ingiustificabile sul piano oggettivo in quanto il dirigente non è un controllore del personale, ma invece deve controllare l’operato di quest’ultimi.
In conclusione la previsione dello schema di decreto in oggetto, seppur migliorabile, pare più incisiva e precisa su molti aspetti della questione ed , ha ovviamente lo scopo di ridurre gli episodi ed il fenomeno che in questi mesi precedenti ha caratterizzato il dialogo mediatico sulla Pubblica Amministrazione.
Vedremo nelle prossime mosse del Governo in merito alla totale Riforma della PA, se questa via di rafforzamento delle norme disciplinari, a scapito di una iniziale e razionale riorganizzazione del lavoro alle dipendenze della PA, sarà la via giusta per aumentare il grado di efficienza ed efficacia della stessa.
Federico Troilo
ADAPT Junior Research Fellow
@troilo_federico