Il rischio della automatizzazione nel mercato del lavoro e la sua incidenza sulla occupazione

Negli ultimi anni diversi studi si sono occupati di indagare la relazione esistente tra lo sviluppo delle nuove tecnologie e i livelli di disoccupazione.

 

Partendo dal lavoro svolto da C. Frey e M. Osborne nel 2013, una recente ricerca commissionata dal Direttorato dell’Oecd cerca di affrontare nuovamente la discussione proponendo un differente metodo di calcolo della influenza di tali nuove tecnologie sul numero di posti di lavoro.

 

A conclusione del loro lavoro, Frey e Osborne sostenevano che il rischio dell’automatizzazione riguardasse il 47% di tutti i posti di lavoro statunitensi e che l’evoluzione tecnologica stesse conducendo le macchine a svolgere non solamente lavori semplici e routinari, ma anche compiti più sofisticati e cognitivi, come guidare automobili o gestire la contabilità per una azienda, con la conseguente sostituzione dell’uomo da interi processi produttivi. Risultavano immuni da tale rischio solamente i lavori rientranti nel c.d. “collo di bottiglia tecnologico”, composto da lavori che non possono essere codificati in regole o algoritmi, come quelli basati sulla creatività, sulla socialità e sulla capacità di interagire con altri umani.

 

  1. Arntz, T. Gregory e U. Zierahn, invece, in una recente ricerca, hanno applicato le valutazioni già compiute da Frey e Osborne per calcolare il rischio di automatizzazione nei paesi dell’Oecd e negli Stati Uniti, partendo da un differente presupposto, per il quale il rischio della automatizzazione dei posti di lavoro non debba essere calcolato rispetto a un determinato processo produttivo, ma piuttosto rispetto ai singoli compiti svolti dai lavoratori all’interno delle proprie occupazioni. Tale approccio è quindi basato sulla convinzione che il rischio di automatizzazione del lavoro dipenda dalla semplicità con cui tali operazioni possono essere sostituite dalle macchine.

 

In sintesi, tra i due studi si pone la stessa differenza che c’è tra automazione, intesa come riduzione dell’intervento di un operatore all’interno di un intero processo produttivo, ed automatizzazione, intesa invece come sostituzione del lavoratore rispetto a un singolo movimento o operazione.

 

I risultati della ricerca di Arntz, Gregory e Zierahn evidenziano effettivamente l’esistenza di una stretta correlazione tra il rischio di automatizzazione e i compiti specificamente svolti dai lavoratori.  Emerge infatti, che persone che svolgono in Paesi diversi lo stesso lavoro con il medesimo livello di istruzione hanno un differente rischio di automatizzazione a seconda delle mansioni che materialmente svolgono. Di conseguenza, l’organizzazione del lavoro incide in maniera rilevante sulla automatizzazione dello stesso.

 

Dalla ricerca emerge inoltre che lo sviluppo delle tecnologie genera una forte polarizzazione nel mercato del lavoro; infatti, le occupazioni che fronteggiano un elevato rischio di automatizzazione corrispondono a quegli impieghi ripetitivi e manuali, mentre le poche tipologie di lavoro che non sono attualmente soggette ad automatizzazione sono quelle che richiedono valutazioni complesse e che sono svolte dai soggetti maggiormente istruiti.

 

In conclusione, la ricerca dimostra che nel mercato del lavoro degli Stati Uniti, il 9% dei lavoratori svolge un lavoro che presenta un rischio di automatizzazione molto elevato, quantificando il rischio in un risultato molto più basso rispetto al 47% ottenuto da Frey e Osborne.

 

All’interno del mercato del lavoro dei paesi dell’Oecd, il risultato appare essere molto diverso tra i vari Paesi, nonostante, effettuando una media, corrisponda alla stessa percentuale di rischio, pari al 9% dei lavoratori. Tuttavia, al di là dei risultati più incoraggianti cui giungono Arntz, Gregory e Zierahn, per i quali sembra sussistere in letteratura un sovrastimato rischio di automatizzazione nei prossimi decenni, da questa ricerca, come dalle precedenti, è facile rilevare due aspetti.

 

In primo luogo emerge chiaramente quanto il livello di istruzione rivesta un ruolo fondamentale nella determinazione del rischio. Paesi caratterizzati da una elevata qualificazione dei propri lavoratori hanno una minore percentuale di rischio di automatizzazione. Pertanto esiste una relazione tra l’istruzione e l’automatizzazione, per la quale sono tipicamente i lavoratori con minori competenze e un reddito più basso a dover fronteggiare un rischio di automatizzazione più elevato.

 

In secondo luogo, emerge la necessità di riconsiderare il ruolo dell’uomo nelle attività di produzione economica, e in particolare di dover costruire un mercato del lavoro nel quale gli uomini svolgano occupazioni di complemento alla attività delle macchine.

 

In conclusione, appare evidente la necessità dei Governi nazionali di intervenire per dar luogo ad un incremento quantitativo e qualitativo dell’istruzione dei propri lavoratori al fine di non emarginare intere categorie di persone dal ciclo produttivo e permettere a questi di indirizzarsi verso nuovi mercati efficienti; e di intervenire per ripensare il ruolo dell’uomo nell’attività di produzione economica.

 

Sembrerebbe, pertanto, necessario dare luogo a grandi cambiamenti di sistema, eppure, non sembra che i Governi nazionali stiano procedendo ad un reale ripensamento del classico rapporto di lavoro e delle relazioni industriali. Lo dimostra la diffidenza con cui vengono generalmente trattate recenti realtà imprenditoriali, come quelle fondate sulla sharing economy.

 

Di conseguenza, nella consapevolezza di dover affrontare la progressiva trasformazione che le nuove tecnologie apportano sia sulla produzione, sia sul ruolo svolto dall’uomo all’interno del ciclo produttivo, è evidente che la sfida che attende le istituzioni nel futuro è quella di saper affrontare tale transizione; e quindi di riuscire a valorizzare le nuove tecnologie e gestire il passaggio dalla fase nella quale la macchina sostituisce il lavoro dell’uomo, a quella in cui la macchina completa ed integra il lavoro dell’uomo.

 

 

Gabriele Scappaticci

Dottore in Giurisprudenza

 

@ gabscappaticci

 

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