In un video pubblicitario un negoziante tenta di vendere ad un cliente (che vuole acquistare una colla per piastrelle e pavimenti di una particolare marca) un prodotto “tipo”. La stessa cosa sta facendo il governo Renzi con i sindacati e con quanti, nel corso di questi mesi, hanno, al suono di “altissimi lai”, ribadita l’esigenza di introdurre elementi di flessibilità nell’accesso al pensionamento, modificando i requisiti previsti dalla riforma Fornero. Per quanto è stato fino ad ora esposto, l’Ape è, infatti, una flessibilità “tipo”, o, ancor meglio, una simil-flessibilità, una sorta di sottoprodotto che costa poco e consente di realizzare, più o meno, il medesimo obiettivo.
Ma la differenza è sostanziale. Mentre le proposte di cui si è parlato fino ad oggi – con dovizia di propaganda accorata sui media – prevedevano un intervento strutturale sul sistema proprio sul punto cruciale dell’età pensionabile, l’Ape consentirà la trasformazione del trattamento erogato al momento della maturazione del diritto in una garanzia per un prestito a carico del circuito bancario/assicurativo a copertura di un periodo di anticipo fino ad un massimo di tre anni dal requisito previsto per la pensione di vecchiaia.
In sostanza, la riforma Fornero è salva, perchè l’Inps prenderà in carico il lavoratore/pensionando soltanto quando egli avrà varcato le soglie anagrafiche (e naturalmente contributive) stabilite dall’articolo 24 del decreto Salva Italia; non un minuto prima. Non ci sarà, quindi, l’inevitabile incremento di spesa pensionistica che – a dire di Tito Boeri – sarebbe stata recuperata in quel lungo periodo in cui “saremo tutti morti”, attraverso l’erogazione, nel tempo, di assegni di importo inferiore, in conseguenza della minore anzianità contributiva maturata e degli effetti degli eventuali correttivi di carattere attuariale.
Questo, in estrema sintesi, il meccanismo: il lavoratore si ritira con un anticipo che al massimo può essere di tre anni rispetto all’età di vecchiaia; percepisce un trattamento (l’Ape, appunto) che, di fatto, rappresenta un anticipo sulla pensione e che verrà poi restituito con una decurtazione dell’assegno previdenziale (entro un limite massimo del 15% e con agevolazioni fiscali per i redditi più bassi) nel momento in cui esso viene maturato, spalmato su un piano di ammortamento di 20 anni.
L’anticipo è finanziato dalle banche, ma viene versato dall’INPS che si incarica di organizzare le convenzioni con gli istituti di credito. In caso di premorienza prima del saldo, la rata del prestito non sarà girata sul trattamento di reversibilità (come sarebbe giusto) ma verrà coperta (si dice) da un’assicurazione (o finirà … in cavalleria?).
Anche se non si conoscono ancora gli aspetti tecnici più importanti, si sprecano sui media i conteggi riguardanti le possibili ricadute sull’ammontare dei trattamenti per coloro che sceglieranno l’Ape. A questo proposito non si deve dimenticare, però, che anche nella proposta Damiano-Baretta (che ha tenuto la scena, ancor più che quella di Tito Boeri) la pensione sarebbe stata calcolata sulla base dei requisiti di anzianità vigenti al momento dell’anticipo. Su quell’importo, sostanzialmente il medesimo da garantire con il prestito, sarebbe scattata una penalizzazione economica (aggiuntiva) del 2% (se non del 3%) per ogni anno in meno rispetto al limite di vecchiaia.
Certo, nell’Ape, oltre alla riduzione fisiologica dovuta all’anticipo, opererà anche quella determinata dalla restituzione ventennale del prestito, maggiorata del tasso di interesse (a carico di chi?). Si tratta di mettere a confronto – per essere corretti – l’ammontare di tale importo, dovuto al marchingegno dell’Ape, con quello derivante dalla penalizzazione economica made by Damiano. Inoltre, occorrerà valutare quale sarà l’effetto delle agevolazioni fiscali annunciate per i disoccupati e i lavoratori sottoposti a mansioni usuranti (oppure, secondo altre versioni, sui percettori di bassi redditi). Infine, l’anticipo, tramite prestito, potrebbe essere accompagnato (ove vi siano le condizioni di adesione del lavoratore ad una forma di previdenza complementare) dalla contemporanea liquidazione della pensione a capitalizzazione. Nelle “Considerazioni del Presidente” in occasione della presentazione del Rapporto per l’anno 2015 della Covip, il 9 giugno scorso, si faceva, infatti, riferimento alla “possibilità di accedere in via anticipata alle prestazioni pensionistiche complementari per coloro che si vengano a trovare in situazioni di disagio per la perdita del lavoro in età avanzata, ma non ancora sufficiente per conseguire il trattamento pensionistico obbligatorio. Ciò – proseguiva la relazione – “al fine di accompagnarli redditualmente sino al momento della percezione della pensione di base, attenuandone così le difficoltà’”.
In realtà, sarebbe opportuno consentire solo a questi soggetti la possibilità di avvalersi dell’Ape. Da quanto è dato comprendere dalle prime enunciazioni la platea dei possibili utenti – almeno per quanto riguarderà la normativa – sarà più ampia, nel senso che l’anticipo sarà consentito anche a quanti volessero avvalersene a prescindere dall’essere o meno occupati. Nei fatti, però, l’Ape è destinato a diventare una sorta di “ultima spiaggia” per chi non dispone di alternative oppure ha la necessità di aderirvi a causa di pressanti scelte di vita. In sostanza, allo ‘’stato dell’arte” sembra che si stia avverando – un po’ paradossalmente – la previsione di Mario Monti durante una recente intervista televisiva. E cioè che la professoressa Elsa Fornero aveva condiviso, nel dibattito, alcune proposte di modifica della riforma (che porta il suo nome) ben più ampie e destrutturanti di quelle a cui si è reso disponibile il Governo nell’incontro con i Sindacati.
Membro del Comitato scientifico ADAPT
Docente di Diritto del lavoro UniECampus