E pur si muove. La strada verso l’Industria 4.0 sembra aver compiuto un ulteriore passo dopo la presentazione degli esiti dell’indagine conoscitiva della Commissione Attività produttive della Camera e le dichiarazioni del Ministro Calenda. In attesa del piano del governo previsto per agosto ci sono già alcuni aspetti da sottolineare, a partire dal rischio di ridurre interamente il piano d’azione ad un forte pacchetto di investimenti.
Certamente questi sono importanti, soprattutto quelli in infrastrutture digitali, ma è importante capire che Industria 4.0 non significa semplicemente qualche robot in più, alcuni tablet in catena di produzione o qualche collaboratore lavora da casa. In gioco c’è una visione completamente diversa dell’impresa, della produzione e del lavoro. E per dar spazio a questa visione occorre soprattutto darlo ai visionari, che in Italia non sono mai mancati.
Gli esempi tedeschi e americani ci mostrano già oggi, attraverso centinaia di casi, come la vera rivoluzione sia nei nuovi modelli di business che cambiano i rapporti tra consumatore e produttore, nelle reti di imprese che abbandonano certe gelosie per collaborare in condivisione di servizi e know how, in imprese che diventano veri centri formativi e di ricerca. Mentre in Italia parte del tessuto imprenditoriale è convinto di essere a pieno ritmo dentro la Quarta rivoluzione industriale, che è quindi spesso ancora confusa con processi di digitalizzazione delle fabbriche, lontani dal nuovo paradigma.
E qui si apre il secondo aspetto critico, ossia l’idea di una cabina di regia centrale, coordinata dai Ministeri insieme all’Agenzia per l’Italia digitale e gli enti locali, e solo in misura minore dal mondo dell’impresa, rischia di ingessare il processo, generando una burocrazia 4.0, per la quale il nostro Paese già eccelle in negativo. Sia il modello tedesco che quello americano, pur opposti, hanno deciso di lasciare spazio ad enti terzi. I tedeschi sono partiti con linee guida elaborate dall’Accademia nazionale di scienze e ingegneria, mentre negli USA è stato direttamente il mondo dell’impresa, con a capo General Electric, a dar vita all’idea di Industrial Internet. Sembra quindi che più che di una forte cabina di regia pubblica si debbano mettere al centro proprio l’impresa e la ricerca, valorizzando le eccellenze, come giustamente ricordato da Calenda.
Il vero ruolo del governo dovrebbe essere quello di garantire in chiave sussidiaria che questi attori possano incontrarsi su terreni fecondi e non pieni di lacci e lacciuoli, sia burocratici che di costi. Il terzo aspetto fondamentale, purtroppo ancora ignorato dai più, è il radicale cambiamento che avverrà nei modi di lavorare e nei profili professionali. La competitività passerà o dalla riduzione dei costi del personale o dall’aumento della produttività del lavoro, non abbiamo molte scelte. Servono quindi lavoratori adeguatamente formati e coinvolti in percorsi di aggiornamento professionale costante (proprio ieri l’OCSE ha ricordato come l’Italia sia ancora molto indietro sulle competenze ICT), per esempio attuando la proposta contenuta nel ddl Sacconi sullo smartworking di un piano di alfabetizzazione digitale come terreno sul quale costruire collaboratori 4.0, o seguendo il modello tedesco delle learning factories.
Inoltre essenziale è un sistema di contrattazione disposto a scommettere sul legame tra salario e produttività, e in questo è da approfondire l’idea che circola di un taglio strutturale sui costi del salario di produttività. Sviluppare una visione non è una impresa impossibile, anzi dovrebbe essere nelle corde di chi ha fatto dell’innovazione il proprio faro d’azione. Quello che è certo è che un’azione forte e innovativa sul fronte dell’Industria 4.0 sarebbe una iniezione di economia reale all’interno di un dibattito politico stanco e sterile.
Responsabile comunicazione e relazioni esterne di Adapt
Direttore ADAPT University Press
Pubblicato anche in Il Foglio, 8 luglio 2016