Mobilità: niente sgravio dopo la 1° proroga del contratto a termine

Il beneficio contributivo di cui all’art. 8, comma 2, legge n. 223/91 non spetta per le proroghe oltre la prima. È quanto sostiene una sede provinciale Inps con una interpretazione che, in verità, risulta difficile da poter condividere.

Un datore di lavoro assume, con contratto a termine pari a tre mesi, un soggetto iscritto nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento intimato da altra azienda, nell’ambito di licenziamenti collettivi di cui all’articolo 24 della legge n. 223/91 citata. Successivamente, il contratto viene prorogato, una prima volta per ulteriori tre mesi (totale sei mesi) e, infine, una seconda volta, per ulteriori sei mesi (totale 12 mesi).

 

Orbene, secondo la predetta sede Inps, si sostiene che, in tali casi, le agevolazioni contributive in discussione spettino esclusivamente per la durata iniziale (primi tre mesi) e per la prima proroga (ulteriori tre mesi), mentre non competono per la seconda proroga ovverossia per gli ultimi sei mesi. Le ragioni di tale posizione troverebbero fondamento sul presupposto dichiarato che, in base alla legge n. 223/91, non sarebbe ammessa più di una proroga.

In verità la legge n. 223/91, non prevede assolutamente una simile condizione e, infatti, l’articolo 8 comma 2, testualmente recita: «2. I lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25 e successive modificazioni. Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4». L’unico limite previsto, quindi, nel caso di un contratto a termine, riguarda la sua durata complessiva che non può essere superiore a dodici mesi e ciò, a parere di chi scrive, indipendentemente dal fatto che si tratti della durata inizialmente pattuita o di quella finale, comprensiva di eventuali proroghe.

 

L’interpretazione che si contesta svilirebbe gravemente la ratio normativa funzionale ad incentivare il reimpiego di soggetti disoccupati – sia pure in occupazioni temporanee – infatti con circolare n. 50 del 5.3.1997, l’Inps si interessò del problema allo scopo di fornire i chiarimenti ritenuti necessari per la corretta applicazione delle agevolazioni contributive in esame, sostenendo che la disciplina dell’art. 8, comma 2, non potesse prescindere dal quadro normativo descritto dalla legge n. 230/1962 allora vigente, ebbe a sostenere la possibilità della «proroga eccezionale del termine, con il consenso del lavoratore, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale (art. 2, comma 1, legge n. 230/1962), nell’ambito sempre della durata massima di dodici mesi (art. 8, comma 2, legge n. 223/1991)». Tale interpretazione, già all’epoca, appariva non coerente con la ratio della citata legge n. 223/91 che, nel prevedere la possibilità di assunzione a termine di durata non superiore a dodici mesi, si configura in realtà, una autonoma ipotesi diversa da quelle già previste allora dalla legge n. 230/62 disciplinante, per l’appunto, il lavoro a tempo determinato come, del resto, avallato dalla Giurisprudenza (cfr. Cass. 10.7. 2000, n. 9174; Cass. 14.12.2001, n. 15820) con la conseguenza che «nei confronti dei lavoratori in mobilità, si è realizzata un’assoluta liberalizzazione del lavoro temporaneo, che incontra un unico limite di carattere temporale, riferito alla sua durata massima, che non potrà essere superiore a dodici mesi» (cfr.  Cas 10.7. 2000, n. 9174).

 

Come è noto la legge n. 230/62 è stata successivamente abrogata dal D.Lgs. n. 368/2001 che nulla aveva modificato rispetto alla specialità e alla regolamentazione propria dell’articolo 8, comma 2, della legge n. 223/91. Dalla lettura del predetto Decreto si rilevava, invece, che tale autonoma regolamentazione, fosse maggiormente rafforzata dal tenore del comma 1, lettera c-ter dell’articolo 10, così come integrato dall’articolo 7, comma 1, lettera d) del D.L. n. 28.6.2013, n. 76 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 9.8.2013, n. 99. Tale norma, in effetti, aveva definitivamente precisato l’esclusione dal campo di applicazione del D.Lgs. n. 368/2001, in quanto già disciplinati da specifiche normative, i rapporti instaurati ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ossia appunto quelli con i lavoratori assunti dalla mobilità; specialità confermata, peraltro, anche dal Ministero del Lavoro con la circolare 29 agosto 2013, n. 35. Già la nota 23 giugno 2005, del Ministero del Lavoro, in risposta alla nota Inps n. 00030005502 del 19.5.2005, aveva avuto modo di soffermarsi sul superamento dei presupposti giuridici sui quali si era formata la citata circolare n. 50/1997.

 

Anche l’ultima riforma della disciplina del contratto di lavoro a tempo, non modifica tale impostazione, confermando (art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 81/15) l’esclusione dal campo di applicazione della normativa dei rapporti instaurati ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223.

 

A mente e in applicazione di quanto affermato dall’Inps, in ordine all’applicazione delle agevolazioni contributive in esame, sostenente che la disciplina dell’art. 8, comma 2, non potesse prescindere dal quadro normativo descritto dalla legge n. 230/1962 allora vigente, appare quantomeno incoerente non tenere conto del mutato quadro normativo, prima a seguito del D.Lgs. n. 368/2001 ed ora del D.Lgs. n. 81/15, che ammette fino a cinque proroghe.

 

Per quanto sopra esposto, quindi, non pare che possa dubitarsi circa la legittimità a poter fruire delle agevolazioni de quibus, in presenza di più proroghe nell’ambito di un contratto a termine con un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, nel rispetto dei limiti di durata massima (dodici mesi).

 

Per altro verso, ci si potrebbe interrogare circa la possibilità di applicazione tout court della proroga nel caso di siffatto rapporto a termine. Anche sotto questo punto di vista, mi pare che si possa concludere che, nel caso del contratto a termine ex articolo 8, comma 2, legge n. 223/91, tenuto conto della specialità e della ratio della stessa come sopra descritte, la proroga sia uno strumento attivabile anche per svariate volte nel rispetto del noto tetto massimo di dodici mesi e ciò anche in applicazione del principio generale desumibile dall’articolo 12, comma 1, delle disposizioni preliminari al Codice civile.

 

 

Tenuto conto di quanto detto finora, considerato che, sulla questione, sono emerse interpretazioni non univoche fra le diverse sedi Inps, sarebbe quanto meno auspicabile una presa di posizione ufficiale dell’Inps al fine dare certezza alle imprese e prevenire ogni sorta di contenzioso.

 

 

Antonio Tola

Consulente del Lavoro

 

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