Note a margine dell’incontro tra la Professoressa Tullini e i dottorandi in Formazione della persona e mercato del lavoro dell’Università di Bergamo
La digitalizzazione sta rivoluzionando molteplici ambiti della nostra vita, comprese l’organizzazione e le modalità di svolgimento del lavoro, nonché l’identità e il significato del lavoro stesso. Anche il diritto del lavoro viene investito da questa forza dirompente e deve confrontarsi con essa, sebbene manchi ancora una chiara identificazione del fenomeno e dei nodi giuslavoristici ad esso connessi. Labour & Law Issues si segnala, nel panorama delle riviste scientifiche italiane, proprio per l’ambizione di analizzare e rivisitare alcune categorie fondative del diritto del lavoro che ancora possono essere utili per leggere la grande trasformazione in atto.
Per questa ragione il Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro promosso da ADAPT e Università di Bergamo ha voluto incontrare Patrizia Tullini, ordinaria di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Bologna e direttore di Labour & Law Issues, durante un seminario dedicato al tema della trasformazione del lavoro con particolare riferimento ai cambiamenti introdotti dalle tecnologie digitali.
Molteplici sono le sfide che la digitalizzazione pone al giurista, al legislatore, alle parti sociali: non tutti sembrano aver colto il senso della trasformazione in atto ed il significato ad essa legato. In un elenco non esaustivo, occorre considerare innanzitutto il linguaggio, posto che la rete nel suo mutamento continuo e nelle sue molteplici ibridazioni scardina l’attuale apparato concettuale giuslavoristico. Quest’ultimo, infatti, troppo spesso è incline all’autoreferenzialità e chiuso su se stesso, tanto da rendere importante l’interrogativo se proprio tale linguaggio sia in grado di descrivere queste realtà, oppure se non sia necessario/opportuno «un linguaggio trasversale e capace d’integrare (almeno) i codici sociologico, economico, giuridico e umanistico» (P. Tullini, C’è lavoro sul web?, in Labour & Law Issue, 2015, pag. 4), idoneo a descrivere e analizzare nuove tipologie di rapporti, scambi, competenze e professionalità, che sembrano sfuggire alle tradizionali categorie giuridiche.
Se è vero che nel nome c’è tutto, diventa quindi importante individuare un percorso concettuale ed argomentativo adatto ad interpretare, e di conseguenza regolare, la trasformazione in atto, evitando di derubricare tale sforzo alla luce di una mera occupazione accademica.
Oltretutto, l’importanza di cercare e trovare un linguaggio idoneo a descrivere la realtà è dimostrata anche dalle difficoltà che il legislatore e le parti sociali manifestano nel comprendere i nuovi fenomeni. Infatti, la legge, finora, pare non aver offerto adeguate soluzioni alle sfide poste da tale trasformazione: emblematico è il caso della recente novella dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che, a dispetto dell’obiettivo di adattamento alle nuove tecnologie indicato nella legge delega, non utilizza nemmeno il termine tecnologia e non accenna a nessuno strumento di natura digitale, condannandosi a risolvere nel presente problemi appartenenti al passato. Infatti, lo sforzo di distinzione tra le tecnologie come strumento di lavoro e come strumento di controllo, compiuto nell’attuale formulazione normativa del citato art. 4, spesso si scontra nella pratica con la sovrapposizione dei due elementi nel medesimo oggetto.
A prescindere dai risvolti giuridici in ordine all’effettivo recepimento, ad opera del legislatore delegato, dei principi e criteri direttivi contenuti nella delega, tale miopia legislativa, oltre a non aver offerto un concreto ausilio nella regolazione della digitalizzazione nel mondo del lavoro, può costituire un reale ostacolo all’attività interpretativa cui giuristi, professionisti e giudici saranno chiamati, con il duplice rischio che una disposizione così formulata – la cui massima aspirazione pare esser consistita nella legittimazione dei cd. controlli difensivi datoriali – sia oggetto di forzature ovvero di sostanziale disapplicazione. Così, se già appartiene alla sorte del diritto rincorrere la realtà, il rischio di una perdurante scollatura con il dato fattuale appare inevitabile.
D’altra parte anche la contrattazione collettiva sembra in maggioranza schierata in un atteggiamento difensivo contro la forza destabilizzante della trasformazione del lavoro, mediante l’utilizzo di vecchi strumenti per regolare fenomeni nuovi. Un atteggiamento di chiusura di questo tipo, rispondente ad una sorta di ciclico luddismo mentale, implica peraltro la sottovalutazione di una grande opportunità, consistente nella possibilità, per le parti sociali, di indirizzare il cambiamento in atto, piuttosto che subirlo.
Del resto, la grande trasformazione del lavoro produrrà, ha già prodotto, importanti conseguenze sullo stesso sistema delle fonti, posto che sempre più accanto alla – e talvolta meglio della – legge, la fonte collettiva pattizia, nazionale o di prossimità, o persino individuale, può offrire soluzioni regolatorie efficaci e meglio rispondenti alle variegate esigenze da soddisfare.
L’ulteriore sfida che la digitalizzazione pone allo studioso di diritto attiene alla persistenza dei maggiori dogmi del diritto del lavoro, come ad esempio il concetto di adempimento della prestazione di contratto ex art. 2104 c.c. e con esso la rilevanza dell’inadempimento e il potere disciplinare. Infatti, in industry 4.0 ed all’interno della smart factory, la macchina e l’uomo non lavorano solo in un processo d’automazione, ma sono complementari tanto da non essere più così agevole poter distinguere i rispettivi apporti al risultato finale.
Ciò comporta che la normale nozione di adempimento della prestazione lavorativa, legata al criterio di diligenza attuale, non può che risultare inadeguata, potendo ora le macchine controllare il lavoro umano, talvolta persino correggendo e/o prevedendo successivi scenari: ne deriva che, essendo la macchina posta in un rapporto definibile di “eterodirezione” in relazione al lavoratore, non è possibile ignorarlo nella complessiva valutazione sull’adempimento della prestazione lavorativa.
Richiamando il tema del precedente seminario con il Professore Bavaro, la Professoressa Tullini sottolinea come il tempo non sia più l’oggetto del contratto di lavoro, ma solo una variabile all’interno della digitalizzazione, così come avviene nelle retribuzioni tarate sul tempo effettivo, oppure nel web dove si può contare al centesimo il tempo della prestazione.
In questo senso, quindi, se l’adempimento ed il tempo non necessariamente caratterizzano la prestazione lavorativa, è necessario offrire un differente inquadramento sistematico, considerando che solo idonee categorie concettuali, entro cui sussumere l’evidenza empirica, possono fondare chiare regole giuridiche, capaci al contempo di reggere l’urto della trasformazione e di non essere cambiate ad ogni mutato orientamento della maggioranza parlamentare.
Oltre che nell’ambito della regolazione del rapporto di lavoro, nuovi spazi di riflessione si aprono sul fronte della regolazione del mercato del lavoro. La rete, con il suo grande potenziale occupazionale, può portare alla diffusione di nuove figure professionali. Per questi profili, sempre più strategico sarà il ruolo delle competenze e della loro messa in trasparenza, mentre occorrerà ripensare il significato, il valore e le condizioni di successo degli interventi formativi e/o di riqualificazione dei lavoratori: nel web i percorsi si fluidificano, insieme alle categorie e alle coordinate spazio-temporali in cui si sono finora costruiti diritti e tutele, e possono cambiare i termini dello scambio a fronte dell’emergere di aree grigie in cui sempre più peso acquistano (accanto a faircoin e bitcoin) gratificazioni personali e risorse reputazionali.
La stessa definizione di lavoro, infine, sembra vacillare difronte alla realtà del web, alle sue forme d’interazione, che pure non possono essere ignorate e liquidate come giuridicamente irrilevanti, poiché a causa della loro forte espansione e delle loro grandi potenzialità rappresentano «una sfida teorica difficile da ignorare» (P. Tullini, C’è lavoro sul web?, cit., pag.10).
É tempo dunque di ripensare le categorie giuridiche del lavoro e la sua stessa identità?
Proprio a questa domanda tenta di rispondere la rivista Labour & Law Issues (LLI), a partire dal nome, visto che la congiunzione posta tra Labour e Law vuole rappresentare proprio un nuovo paradigma in cui l’osservazione della realtà diventa imprescindibile dato di partenza dell’analisi giuridica, a dispetto della piuttosto consolidata attitudine del giurista a modellare la realtà agli schemi giuridici e riflettere ricorsivamente e in maniera autoreferenziale su questi ultimi. È quindi questa la grande sfida del giuslavorista nella trasformazione del lavoro: avere il coraggio di mettere in discussione concetti e categorie finora centrali, pur ricordandosi che non tutti i campi del lavoro sono investiti da questa trasformazione, e aprirsi ad una ibridazione di linguaggi indispensabili per comprendere la realtà odierna.
Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo
Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo