Il Tribunale di Milano, con ordinanza dell’11 luglio 2016, nella causa n. 5420/2016, è tornato a pronunciarsi sul licenziamento comminato da un’agenzia per il lavoro per giustificato motivo oggettivo, rigettando il ricorso della lavoratrice che ne aveva contestato la legittimità. Alle stesse conclusioni, in un diverso procedimento, è pervenuto anche il Tribunale di Roma il 27 giugno 2016, con decreto di rigetto n. 70616/2016.
Le pronunce segnalate consentono, dunque, di approfondire il tema, già affrontato dal Tribunale di Milano nell’ordinanza n. 18812 del 28 giugno 2016 (cfr. A. D’Ascenzo, Agenzie per il lavoro e licenziamenti. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano, in https://www.bollettinoadapt.it/bollettino-adapt/ordinario/18-luglio-2016-n-26/), sulla funzione svolta dalla procedura di cui all’art. 25 Ccnl 7 aprile 2014, vigente nel settore della somministrazione di manodopera, e sulla valenza che essa assume rispetto alla cessazione unilaterale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore somministrato e l’agenzia per il lavoro.
Tale procedura, di per sé, non è preliminare al recesso dell’agenzia, ma persegue la dichiarata finalità di favorire il reinserimento nel mercato del lavoro del lavoratore in disponibilità, non ricollocabile al termine della missione presso altri utilizzatori, rafforzandone le prospettive di rioccupabilità attraverso una serie di interventi mirati di politica attiva.
Infatti, l’art. 25 Ccnl prefigura l’attuazione di un percorso formativo, finanziato con le risorse della bilateralità, sulla base del bilancio delle competenze acquisite dal lavoratore. Il progetto formativo viene concordato ed approvato con le parti sociali, nell’ambito della commissione sindacale competente per territorio, che si riunisce anche in un secondo momento per il monitoraggio delle azioni intraprese dall’Apl nell’ottica della ricollocazione del lavoratore. Se al termine dei sei mesi permane l’assenza di nuove occasioni di lavoro, il lavoratore potrà essere licenziato per giustificato motivo oggettivo.
Ora, le pronunce in commento rivelano la persistente difficoltà di inquadramento di tale disciplina “speciale” rispetto alle regole generali vigenti in materia di licenziamento per gmo, che si riflette sul contenuto della domanda giudiziale, proposta dal lavoratore in sede di impugnazione, e sui fatti storici allegati ai fini probatori.
In entrambi i casi, le due ricorrenti, lamentando, in maniera generica, il mancato reperimento o ricerca, da parte dell’Apl, di nuove occasioni di lavoro, di fatto avevano ricondotto l’illegittimità del licenziamento loro inflitto all’insuccesso dell’agenzia nel tentativo di ricollocarle presso altre aziende. Sia il Tribunale di Milano sia quello di Roma hanno, pertanto, escluso la censurabilità della condotta della società convenuta, che, nei casi di specie, si era attenuta al disposto contrattuale, non potendo, in particolare, essere addebitata all’Apl la mancata ricollocazione del lavoratore, in quanto connessa al gradimento finale di un soggetto terzo, l’utilizzatore.
Tale premessa, seppur corretta, potrebbe, tuttavia, suggerire erroneamente che l’attivazione della procedura ex art. 25 Ccnl sia sufficiente a porre l’Apl al riparo da eventuali contestazioni del lavoratore in merito alla legittimità del licenziamento. In realtà, in entrambi i casi, il ricorso delle due lavoratrici era infondato non tanto perché la società convenuta aveva correttamente applicato l’art. 25 Ccnl, ma a causa della mancata allegazione e prova, da parte delle ricorrenti, dei fatti storici rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie.
Infatti, poiché il recesso dell’Apl si fonda sulla perdurante assenza di ulteriori prospettive occupazionali per il lavoratore in disponibilità, per provarne l’illegittimità, quest’ultimo ha l’onere di dimostrare, attraverso l’allegazione di fatti storici circostanziati, l’esistenza di occasioni di lavoro compatibili con il proprio profilo professionale, che l’Apl avrebbe potuto proporre, ed in concreto non proposte. L’agenzia, invece, fermo restando l’obbligo di fornire la prova contraria, potrebbe anche dedurre in giudizio le iniziative intraprese per favorire la ricollocazione della risorsa, ma esclusivamente a titolo indiziario, a riprova della genuinità e della inevitabilità del provvedimento.
Pertanto, la legittimità del licenziamento comminato dall’Apl non è, di per sé, inficiata dalla mancata attivazione della procedura ex art. 25 Ccnl che, non costituendo un presupposto sostanziale o procedurale del recesso per gmo, incide, semmai, sul novero dei fatti storici rilevanti nel giudizio di impugnativa del provvedimento datoriale e, dunque, sul corretto adempimento dell’onere probatorio delle parti.
Poiché l’accordo sindacale di approvazione del progetto formativo, sottoscritto tra l’Apl e le parti sociali, seleziona altresì le posizioni lavorative che l’agenzia è tenuta a vagliare, ancorandole, di norma, al criterio della congruità ex art. 50 Ccnl, il lavoratore potrebbe, infatti, lamentare in giudizio la mancata offerta delle sole proposte conformi a tale parametro. Diversamente, in assenza della procedura, nulla esclude che all’agenzia sia contestata l’esistenza di posizioni aperte presso aziende clienti, anche non congrue, non sottoposte all’attenzione del lavoratore e che quest’ultimo avrebbe avuto potenzialmente interesse ad accettare.
Pertanto, l’osservanza della normativa collettiva, pur non essendo obbligatoria, se non sul piano dell’adempimento contrattuale, oltre a presidiare la genuinità del licenziamento attraverso la previsione di un duplice vaglio sindacale, argina, altresì, il rischio di soccombenza, per l’Apl, nel caso di successive contestazioni, garantendo a quest’ultima spazi di difesa più ampi.
Inoltre, se correttamente attuata, la disciplina di cui all’art. 25 Ccnl contribuisce a rafforzare il posizionamento delle agenzie per il lavoro sul mercato come facilitatori delle transizioni occupazionali, conferendo un vantaggio competitivo, nel lungo periodo, all’Apl in grado di far fronte, con celerità, alle richieste delle aziende utilizzatrici, attraverso l’impiego di personale in disponibilità già “collaudato” in altre missioni, ed eventualmente riqualificato attraverso l’attuazione di un serio percorso formativo.
L’inedito aumento del numero dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato, recentemente emerso dai dati pubblicati da Ebitemp (Ente bilaterale per il Lavoro Temporaneo) impone, d’altronde, un ripensamento della natura datoriale delle Apl in questa direzione che solleva l’esigenza di una maggiore valorizzazione, da parte delle stesse agenzie per il lavoro, della procedura ex art. 25 Ccnl e delle sue potenzialità.
Infatti, l’effettività di tale procedura è rimessa in larga parte alla scelta discrezionale della singola agenzia di investire nelle iniziative volte al concreto reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro. La verifica effettuata da Forma.temp (Fondo per la formazione e l’integrazione al reddito), ai fini del rimborso degli oneri sostenuti dall’Apl in applicazione dell’art. 25 Ccnl, ha ad oggetto, infatti, la sola regolarità formale della procedura, e lo stesso scrutinio delle parti sociali incide relativamente sull’operato dell’agenzia, poiché le attività svolte per la riqualificazione professionale del lavoratore e la sua ricollocazione attengono, in larga misura, a scelte organizzative interne all’azienda e, in quanto tali, incensurabili nel merito.
Pertanto, vista anche l’onerosità degli adempimenti richiesti nell’ambito della procedura ex art. 25 Ccnl, potrebbe essere particolarmente opportuna la scelta delle parti sociali di introdurre meccanismi di premialità idonei a valorizzare le Apl più virtuose, e, in ultima analisi, stimolare trend positivi, incentivando le agenzie per il lavoro ad intraprendere azioni concrete per favorire l’effettiva ricollocazione dei lavoratori somministrati coinvolti nella procedura.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo