Quando si parla di decentramento della contrattazione collettiva il primo pensiero solitamente va al rischio della perdita di rilevanza del CCNL e alla connessa possibilità di frammentazione delle condizioni sociali e normative dei lavoratori nei diversi contesti produttivi e territoriali. Da più parti è stato tuttavia rilevato come lo sviluppo del livello territoriale delle relazioni industriali possa rappresentare la sede ideale per consentire “alle associazioni di rappresentanza datoriali e sindacali di continuare a svolgere, in raccordo con le rispettive centrali confederali e con gli accordi intersettoriali da esse sottoscritti, un ruolo di garanzia dell’equità del modello contrattuale sia in relazione alle dinamiche competitive che in relazione agli obiettivi di giustizia sociale del mercato del lavoro che regolano”(cfr. Contrattazione e produttività: analisi e proposte del gruppo FareContrattazione, Bollettino Speciale ADAPT, 19 ottobre 2016). Di recente Gaetano Sateriale ha sottolineato l’opportunità di promuovere un modello innovativo della rappresentanza sociale e del lavoro che faccia perno “su una maggiore confederalità della forma organizzativa (quindi con minore perso relativo della categorialità) e un nuovo sistema contrattuale in cui la contrattazione sociale territoriale sia luogo di sintesi o di indirizzo del secondo livello aziendale di categoria” (cfr. Gaetano Sateriale, Sindacato 5.0: come, quale, Il diario del lavoro, 27 ottobre 2016).
In questo articolo presenterò i risultati principali della mia tesi di laurea frutto di una ricerca sul campo nel territorio milanese. L’obiettivo della ricerca consiste nel tentativo di mostrare, attraverso l’analisi di prassi contrattuali e organizzative, come le parti sociali in generale, e la rappresentanza sindacale in particolare, possano superare il problema della frammentazione attraverso un processo di decentramento che potenzi il livello territoriale delle relazioni industriali, valorizzando al contempo la dimensione sociale della rappresentanza, attraverso la creazione di network e istituzioni locali in grado di governare la tensione tra centro e periferia, locale e globale, flessibilità e sicurezza. L’approccio metodologico adottato è stato di tipo qualitativo, consistente in particolare in una prima fase di osservazione partecipante, seguita da delle interviste rivolte a segretari e funzionari sindacali di CGIL, CISL e UIL nel territorio milanese, ed infine dall’analisi dei documenti rilevanti emersi durante questi primi due momenti della ricerca.
Dalle interviste emerge come le organizzazioni di rappresentanza sindacale non siano restie al decentramento tout-court, in quanto favorevoli ad un rafforzamento delle competenze regolatorie a livello locale, a patto che questo processo coinvolga il livello territoriale di negoziazione collettiva e le interconnessioni tra questo, le istituzioni locali e la cittadinanza. Per la maggior parte degli intervistati la sfida fondamentale risiede nella trasformazione dell’organizzazione del lavoro e del mercato del lavoro, la quale richiede un ripensamento della struttura organizzativa del sindacato che consenta di essere più vicini alle persone senza perdere un’identità collettiva. Dunque al centro di questo ragionamento vi è l’idea che le organizzazioni di rappresentanza debbano sfruttare la presenza sul territorio per condurre prassi di negoziazione e relazioni industriali che possano allo stesso tempo considerare le peculiarità del contesto locale e coprire quelle situazioni marginali che risultano tradizionalmente più sfuggenti all’azione collettiva.
Le molteplici dimensioni della contrattazione e della rappresentanza territoriale
Per rendere concreto questo processo le tre maggiori confederazioni sindacali propongono di considerare la contrattazione di secondo livello sotto più dimensioni: non solo quella in azienda, ma anche di sito, di filiera produttiva, di distretto o di un determinato territorio. Inoltre, la valorizzazione della dimensione locale delle relazioni industriali dovrebbe andare di pari passo con l’allargamento della rappresentanza sociale dai lavoratori ai cittadini di un territorio, nonché con una maggiore sinergia tra le diverse categorie, in quanto una divisione troppo rigida tra di esse potrebbe comportare difficoltà nel rappresentare lavoratori con contratti diversi nello stesso sito produttivo ed esigenze che accomunano più persone nella zona geografica di riferimento. Cosa possono fare dunque le parti sociali per portare avanti questa strategia riorganizzativa?
Il delegato sociale
Un esempio innovativo di particolare interesse consiste nella figura del delegato sociale. Rilanciata recentemente dalla camera del lavoro metropolitana di Milano, questa istituzione mira a collegare la rappresentanza sindacale in azienda con quella sociale sul territorio: il delegato sociale è infatti un’antenna che nel luogo di lavoro indaga sul clima aziendale e crea una mappa dei bisogni sociali, collegando poi le persone in difficoltà con la rete di servizi territoriale. Inoltre il delegato sociale ha il compito di raccogliere i dati riguardanti questi bisogni per una più matura contrattazione aziendale e territoriale sul welfare. Le prime esperienze relative a questo esperimento risalgono a quindici anni fa su iniziativa dei tre maggiori sindacati. Recentemente la camera del lavoro metropolitana di Milano ha lanciato un corso di formazione intitolato “Il delegato sociale: l’azienda come spazio di relazione e inclusione”, in linea con il rinnovato interesse verso questa istituzione di collegamento tra rappresentanza nei luoghi di lavoro e politiche sociali territoriali.
I laboratori per l’innovazione e l’inclusione sociale
Un’iniziativa parallela promossa dal dipartimento delle politiche sociali della camera del lavoro è quella relativa alla sperimentazione dei LIS, ovvero dei laboratori per l’innovazione e l’inclusione sociale (cfr. Milano, la nuova frontiera della rappresentanza, Rassegna sindacale, 03 febbraio 2016). Si tratta di spazi nei quali i delegati di un determinato territorio ed i funzionari, a prescindere dalla categoria di appartenenza ed in collaborazione con i lavoratori dei servizi, con le leghe dei pensionati ed infine con gli attivisti, possano mettere insieme le proprie esperienze provenienti dall’azienda nella quale lavorano al fine di selezionare dei bisogni sociali condivisi. L’obiettivo sta nel raccogliere quella materia prima utile sia per una negoziazione sociale sul territorio, volta a creare strutture e servizi necessari a risolvere tali bisogni, sia per condividere linee contrattuali nelle diverse aziende di provenienza riguardo questi temi. Inoltre è uno strumento pensato per monitorare l’implementazione degli accordi raggiunti, per rafforzare la rete territoriale, per ricomporre i bisogni sociali e dunque rafforzare la rappresentanza ed infine per supportare il collegamento tra la contrattazione aziendale e territoriale.
Il welfare
Il tema del welfare è sicuramente un elemento centrale nella dimensione territoriale delle relazioni industriali. Molti intervistati accompagnavano la mia attenzione alla rilevanza che può giocare la fondazione welfare ambrosiano per risolvere problemi sociali di quell’area grigia del welfare relativa alla vulnerabilità sociale comuni sul territorio milanese. Questo istituto, costituito da CGIL, CISL e UIL e dalle istituzioni locali, è operativo dal 2011 e sfrutta delle risorse che erano state accumulate dagli anni Settanta, con l’obiettivo di supportare i cittadini milanesi in momenti di difficoltà transitori, attraverso strumenti come il credito solidale sociale, l’anticipazione della cassa integrazione guadagni e la mutualità sanitaria integrativa. Vi è anche l’istituto del credito solidale d’impresa, pensato per aiutare lo sviluppo di progetti imprenditoriali. Oltre allo sviluppo di forme di sostegno mutualistiche o per l’accesso al credito, questa fondazione promuove anche borse di studio dedicate a lavori di ricerca sul welfare milanese e seminari volti alla diffusione della conoscenza sul tema. Inoltre nella contrattazione aziendale del territorio sembra diventare importante il ragionamento su quei tipi di servizi sociali di cui possano usufruire lavoratori di sedi diverse ma potenzialmente anche di aziende diverse, riguardanti in generale il tema della conciliazione dei tempi di vita con quelli del lavoro, tra i quali possiamo trovare servizi di trasporto come il bus sharing, strutture volte ai servizi di cura ma anche servizi connessi alla maternità come ad esempio l’aiuto tramite spesa a domicilio.
Gli enti bilaterali
Un’altra chiave di questa strategia sta nella creazione e nel potenziamento degli enti bilaterali, che spesso consentono di trovare soluzioni creative sia per servizi socio sanitari, che per le esigenze formative dei lavoratori. Queste strutture vengono viste come qualcosa da potenziare, in quanto permettono di raggiungere quella massa critica che consente di creare servizi che altrimenti sarebbero difficili da sostenere. In particolare i segretari e funzionari della categoria dei lavoratori “atipici” sottolineano come la creazione di enti bilaterali abbia portato a soluzioni creative, permettendo di superare i problemi derivanti dalla precarietà delle relazioni lavorative. In particolare Formatemp, l’ente bilaterale per la formazione dei lavoratori in somministrazione, viene percepito come l’elemento chiave per la ricerca della continuità lavorativa: non solo per la formazione dei lavoratori che hanno terminato una missione, ma anche grazie ad un rimborso dell’indennità di disponibilità alle agenzie per il lavoro. Un altro caso in cui la bilateralità viene percepita come elemento strategico è quello degli artigiani nel settore metalmeccanico, sistema che consente di tenere insieme quelle micro realtà che da sole non avrebbero le risorse per erogare quei servizi che le singole imprese non potrebbero permettersi.
I servizi
I servizi individuali alla persona fanno parte di questo investimento sul territorio in quanto permettono alle organizzazioni sindacali di essere a contatto con i cittadini fuori dal luogo di lavoro e di conciliare il rapporto di rappresentanza individuale con quello collettivo. Tra i servizi più innovativi, quelli legati all’accompagnamento nel mercato del lavoro ed alle politiche attive attraggono un’attenzione particolare. Da un lato vi sono i servizi offerti dall’organizzazione stessa, come lo sportello per l’orientamento al lavoro, sul quale la CISL sembra rivelare un interesse relativamente più forte in quanto viene percepito come un servizio strategico per l’inserimento del sindacato nel territorio e per la presenza nelle fasi di transizione occupazionale dei lavoratori. Dall’altro vi sono dei tentativi di costruzione di rete con imprese sociali sul territorio che si occupano di queste cose, cercando di ottenere da un lato un accesso facilitato al servizio e, dall’altro, un migliore collegamento tra il tessuto aziendale della zona in questione con l’attività formativa. Vi sono poi iniziative innovative come la costruzione sul territorio di spazi dedicati all’auto-mutuo aiuto per cittadini disoccupati o in cassa integrazione, l’esperimento del job club nel quale cittadini disoccupati si aiutano nella ricerca del lavoro ed infine luoghi dedicati al co-working.
La contrattazione
Infine i risultati delle interviste come le tre confederazioni sindacali, sul territorio Milanese e Lombardo, stiano cercando di dare nuova linfa alla negoziazione territoriale. È opinione diffusa che la presenza sui piani di zona sia molto rilevante per la capacità di rafforzare la rappresentanza e allo stesso tempo rispondere in modo efficace ai bisogni dei cittadini. Due esempi particolari sono costituiti dai piani territoriali di conciliazione e welfare, volti alla creazione di reti territoriali per l’erogazione di servizi sia ai cittadini che alle imprese ed i laboratori di governance collaborativa, di iniziativa della camera del lavoro. È presente anche una forma di contrattazione collettiva territoriale sviluppata con le imprese, soprattutto per evitare la guerra al ribasso con le piccole aziende. Al centro di questa negoziazione regionale vi sono gli enti bilaterali, dei quali l’importanza è stata evidenziata precedentemente. Alcuni membri della UIL, tra gli intervistati, hanno sottolineato come questi esempi possano essere sfruttati per la definizione di un nuovo modello di relazioni industriali, allentando il timore relativo alla difficoltà di raggiungere quelle realtà nel caso di un decentramento che consideri esclusivamente il livello aziendale. Sul fronte della negoziazione con i comuni, la stessa organizzazione ha cominciato a formare i delegati territoriali, soprattutto tra i pensionati, alla comprensione dei bilanci comunali, in modo da poter interagire sulla gestione delle risorse.
Conclusioni
L’apertura al territorio porta con sé molte opportunità. Una di queste è la potenziale crescita del capitale sociale e del network locale finalizzato ad un miglior collegamento dei i bisogni dei cittadini e delle imprese con i servizi formativi e assistenziali. Inoltre vi è l’opportunità di rafforzare la presenza del privato sociale in modo da integrare il pubblico nell’erogazione di attività di welfare che sono necessarie per fare in modo che i lavoratori si trovino nelle migliori condizioni possibili. Questo si collega con il tema della produttività: una rete di questo tipo potrebbe infatti consentire una strategia competitiva basata sulla qualità del capitale umano dei lavoratori e del valore aggiunto invece che sul costo del lavoro.
Ma vi sono anche delle difficoltà da tenere presenti. La prima riguarda il costo del riassetto organizzativo, con le possibili resistenze che le parti sociali possono trovare rispetto al cambiamento proposto. In particolare la maggiore difficoltà di questo riassetto consiste nel condurre contrattazioni collettive territoriali che coinvolgano diverse categorie. Inoltre bisogna considerare che la connessione degli attori locali può essere resa difficile dalla presenza di grosse differenze anche dentro la stessa categoria, a causa soprattutto delle diverse dimensioni aziendali. Last but not least bisogna considerare la sfida culturale: diventa infatti necessario immaginare un modello di relazioni industriali diverso e questo richiede lo sforzo di condividere con tutti gli attori in gioco una visione che permetta di abbandonare le zone di comfort ed investire sul nuovo esperimento, attraverso un approccio che potremmo definire di imprenditorialità condivisa.
La sfida del cambiamento non è facile da affrontare, ma la situazione e le condizioni potrebbe essere mature affinché le parti sociali in campo prendano delle decisioni significative. Sebbene vi siano delle persistenti resistenze nel mettere in pratica le linee guida che tra i membri delle tre confederazioni sembrano essere condivise, il rafforzamento del legame tra queste ultime, le aziende ed il territorio, con tutte le sue istituzioni e i servizi che esso offre, potrebbe permettere di superare il conflitto riguardante il decentramento della contrattazione collettiva incanalandolo in un percorso di sostenibilità che faccia perno sul territorio quale luogo per valorizzare una dimensione circolare della sussidiarietà ad oggi ancora inedita ma quanto mai opportuna per rispondere alle sfide imposte dai cambiamenti in atto sul piano economico e sociale.
Rocco Dipinto
ADAPT Junior Fellow