Viviamo in un regime di globalizzazione delle competenze e quindi in teoria dovremmo fare (presto) due cose tra loro complementari: attrarre talenti dall’estero e impedire che i nostri siano «costretti» ad andarsene. In realtà, basta farne una: creare a Milano e in Lombardia un ambiente friendly per i giovani più promettenti, qualsiasi passaporto abbiano in tasca. Il varo di Human Technopole nell’area Expo di Rho dovrebbe attirare 1.600 ricercatori ed è quindi un test di prima grandezza per misurarci con i problemi che abbiamo evocato.
La prima lacuna da colmare allora diventa l’assenza di una moderna legislazione che serva a regolare l’operato dei ricercatori, la figura-chiave di questi processo di mobilità transnazionale. Stiamo parlando di un insieme di questioni che abbraccia percorsi di carriera, sistema delle gratifiche economiche e professionali, incentivi per i datori di lavoro che li assumono, la possibilità di lavorare alla dipendenze non di un singolo imprenditore, ma di un distretto industriale.
La figura del ricercatore cosmopolita si impone quindi all’attenzione perché sovente è decisiva per il successo di un progetto scientifico…
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