La Consulta ha bloccato le parti della legge Madia che prevedono solo un parere non vincolante delle regioni su materie a potestà concorrente. Tutto parte dalla delega scritta male e dal non aver cercato correttivi prima della sentenza. Il problema è antico e la nuova Costituzione non l’affronta.
La sentenza della Corte
La sentenza della Corte costituzionale 251/2016, che ha bloccato parti fondamentali della riforma Madia, torna a mettere in evidenza alcuni difetti molto gravi del processo normativo.
Si tratta di vizi che la riforma della Costituzione non affronta, perché non derivano dal bicameralismo perfetto, bensì dalla complessiva qualità della produzione delle norme, piuttosto bassa non solo per responsabilità di governi e parlamenti, ma anche – e soprattutto – a causa di un non soddisfacente apporto degli staff tecnici.
In questo caso, la Consulta non ha “bocciato” la legge Madia perché abbia violato principi fondanti enunciati dalla Costituzione o da essa desunti. Ha invece accertato che la legge Madia (una delega legislativa al Governo per riformare molti punti della pubblica amministrazione: dalla dirigenza, alle società partecipate, dai “furbetti del cartellino” al Foia (Freedom of Information Act) è incostituzionale nelle parti nelle quali, sul solo piano procedurale, ha previsto il semplice parere non vincolante e non l’intesa con le regioni, nelle materie nelle quali si evidenziasse un intreccio molto forte tra potestà legislativa dello Stato e potestà concorrente o residuale degli enti territoriali.
Le “ingenuità” del governo
L’incidente procedurale era imprevedibile? La titolare del ministero delle Riforme, Marianna Madia, nell’intervista pubblicata dal Corriere della sera il 27 novembre ha negato che qualcuno abbia commesso errori sia politicamente, sia tecnicamente, sottolineando che la Consulta avrebbe modificato orientamento interpretativo. In sostanza, quindi, afferma che il governo sarebbe stato colto “di sorpresa” da una sentenza del tutto inaspettata. Ma simile conclusione può considerarsi persuasiva?
Certo, il caso di cambiamento repentino nell’indirizzo giurisprudenziale di per sé può essere elemento in qualche misura dirompente, perché modifica assetti che possono considerarsi acquisiti. Tuttavia, nel momento in cui si instaura una causa che riguarda sì un aspetto procedurale, ma che è fondamentale per una riforma di ampia portata, forse occorreva tenere conto dell’alea rappresentata da qualsiasi vertenza. In fondo, la Consulta si è pronunciata su un ricorso proposto dalla regione Veneto, che evidenziava esattamente il vizio di legittimità costituzionale (l’assenza dell’intesa obbligatoria) accertato dalla sentenza. Dunque, qualcuno, segnatamente la regione Veneto, si era accorto del possibile vizio di legittimità della legge Madia. La “sorpresa”, allora, per il cambiamento di indirizzo può essere giustificata, ma l’assenza di qualsiasi piano come “contromisura” appare a sua volta sorprendente…
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