Art. 1, storia di un compromesso e panoramica sull’articolo 1 degli altri

l 22 marzo 1947 si festeggiò un compromesso. Quel giorno l’assemblea costituente approvava definitivamente l’articolo 1 della Costituzione «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il compromesso era la parola «lavoro», le sinistre avrebbero voluto definire la nascente Repubblica «dei lavoratori», la proposta venne bocciata da 239 no contro 227 sì. Fu un emendamento del giovane Amintore Fanfani e di Egidio Tosato a trasformare «lavoratori» in lavoro, il senso venne da tutti accettato.

Si discusse anche se la sovranità dovesse «emanare» dal popolo – la «bellissima» Costituzione di Weimar ispirava ancora nonostante tutto – si valutò e scartò l’oggettivamente brutto «risiede», si scelse il più prosaico e rassicurante «appartiene». Quella seconda frase, secondo Giulio Enea Vigevani, professore di diritto costituzionale alla Bicocca, è la parte «più innovativa, sancisce il ritorno e l’idea di democrazia ma anche il suo limite, è una parte ancor più densa di significato, c’è tutto il rispetto delle regole e delle minoranze».

Settant’anni dopo però è il lavoro il grande assente, quella sottolineatura di sinistra che rifiutava ogni accezione classista non ha retto al tempo. In settanta anni l’articolo 1 non è stato mai seriamente minacciato, soltanto pochi anni fa nel 2010 i radicali e l’allora ministro Renato Brunetta volevano togliere quel riferimento al lavoro considerato un preciso marchio ideologico…

 

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