Sebbene nelle intenzioni del promotore del disegno di legge sul lavoro autonomo, approvato lo scorso 9 marzo alla Camera, ci sia stato l’allargamento delle tutele e delle agevolazioni per i lavoratori autonomi al fine di riconoscerne la dignità sociale, fortemente messa in discussione dal mutato contesto economico, lo spazio lasciato, nei fatti, a chi quella realtà dovrebbe rappresentare appare piuttosto modesto.
Infatti nei 17 articoli recanti “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale” il riferimento alle organizzazioni sindacali ricorre in due sole occasioni: all’art.10, in cui si prevede la possibilità per le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi di stipulare convenzioni con i centri per l’impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro, al fine di fornire attraverso sportelli aperti al pubblico servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione degli autonomi; e all’art. 17, in cui è previsto un Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e composto da rappresentanti designati del Ministero stesso, dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e dalle associazioni di settore comparativamente più rappresentative a livello nazionale “al fine di coordinare e di monitorare gli interventi in materia di lavoro autonomo […] con il compito di formulare proposte e indirizzi operativi in materia di politiche del lavoro autonomo con particolare riferimento a: a) modelli previdenziali; b) modelli di welfare; c) formazione professionale”.
Entrambi le previsioni di legge sono in ogni caso sicuramente interessanti in quanto rappresentano “l’investitura” per il sindacato a farsi portavoce delle istanze di una categoria di lavoratori nei confronti dei quali finora si è stati restii a riconoscerne l’esigenza di rappresentanza. Non solo l’opinione pubblica ha fatto fatica a svincolarsi dall’idea dell’indipendente come professionista “imprenditore di sé stesso” che produce e trattiene per sé il profitto, ma anche gli stessi sindacati hanno avuto difficoltà nel comprendere il mutamento del quadro economico e sociale e, conseguentemente, la necessità di superare le tradizionali categorie del diritto del lavoro. Gli autonomi dell’era digitale sono oggi inseriti in un contesto altamente competitivo che annulla qualsiasi effetto di vantaggio della pluricommittenza, la quale, anzi, si rivela il vero ostacolo all’esercizio di quei diritti di rappresentanza, come la contrattazione collettiva, che pure la Costituzione indirettamente riconosce ai lavoratori autonomi (M. Forlivesi, La sfida della rappresentanza sindacale dei lavoratori 2.0, DRI n.3/2016).
Si sarebbe, dunque, potuto fare di più aprendo maggiori spazi d’azione all’autonomia collettiva, promuovendone la centralità anche per quella parte di mercato che si rivolge a lavoratori con partita IVA. In questo senso la proposta di legge Fassina-Damiano, presentata nel 2014 ma risoltasi in un nulla di fatto, appariva senz’altro più incisiva, poiché, oltre a promuovere la contrattazione collettiva anche tramite attività mediatorie e di concertazione delle amministrazioni pubbliche statali e regionali e a disporre che l’attuazione del nuovo impianto regolatorio fosse rimesso alla contrattazione tra le organizzazioni sindacali e quelle dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale, prevedeva che nei contratti collettivi nazionali di lavoro fossero inseriti capitoli specifici, dedicati ai lavoratori autonomi e ai professionisti (per un confronto tra le due iniziative di regolamentazione si veda L. M. Pelusi, Lavoro autonomo: analisi comparata tra la proposta Damiano-Fassina e il disegno di legge Poletti in Verso il futuro del lavoro. Analisi e spunti su lavoro agile e lavoro autonomo a cura di Emanuele Dagnino, Michele Tiraboschi ADAPT E-Book series n. 50). Probabilmente una simile impostazione avrebbe quantomeno accelerato il processo di estensione delle tutele nonché la modernizzazione delle stesse relazioni industriali.
Le esperienze europee del resto ci dimostrano come l’attività delle organizzazioni sindacali anche nell’area del lavoro autonomo sia stata in grado di portare avanti battaglie che hanno ottenuto risultati tangibili per i lavoratori indipendenti. In Spagna esse sono approdate nello Statuto del lavoro autonomo (ley 11 luglio 2007, n.20) che ha avuto il merito di regolare in modo coerente e sistematico le varie forme di lavoro autonomo e le relative tutele. Evidenze di contrattazione collettiva sono state rinvenute anche con riferimento alle associazioni indipendenti nel settore giornalistico nel Regno Unito (A. Perulli, Un Jobs Act per gli autonomi: verso una nuova disciplina della dipendenza economica? WP CSDLE “Massimo D’Antona” – 235/2015). Mentre in Svezia e Danimarca i sindacati stanno tentando e in alcuni casi (Danimarca) sono riusciti a creare servizi di welfare ed assistenza a beneficio dei lavoratori c.d. freelance e non-standard, lavoratori al momento non ancora coperti da accordi collettivi. (A. Ilsøe, Digitalizing service work- social partner responses in Denmark, Sweden and Germany, European Review of Labour and Research, 23/2017). I sindacati tedeschi hanno invece creato una piattaforma denominata Ver.di per i freelance.
Dunque esperimenti di sindacato per il lavoro autonomo non mancano. D’altra parte la digitalizzazione del mercato del lavoro ha determinato per un verso la nascita di numerosi profili professionali esercitabili quasi esclusivamente in maniera autonoma, dall’altro una competizione e una concorrenza sleale che si manifesta principalmente via web. Infatti, chiunque voglia promuovere le proprie prestazioni al giorno d’oggi spesso si avvale di piattaforme digitali: come evitare che vi sia chi è disposto a proporre tariffe più basse? Come evitare il dumping sociale? Queste sono le domande che le prime associazioni di lavoratori si sono poste e queste sono le istanze che gli indipendenti oggi promuovono: qualità delle condizioni del lavoro, protezione dalle pratiche sleali e un diffuso senso di comunità, non particolarmente facile da creare quando si lavora da dietro uno schermo. (G. Valenduc, P. Vendramin, Work in the digital economy: sorting the old form the new, ETUI aisbl, WP 2016.03). Se il sindacato saprà cogliere una sfida simile, dunque, finalmente molti dei lavoratori indipendenti e freelance potranno trovare un punto di riferimento nelle comuni lotte per maggiori tutele e per politiche mirate a favorire il lavoro autonomo non imprenditoriale “genuino”. Sarebbe bello, infatti, credere che la diminuzione delle Partite Iva sia dovuta ad una riconduzione al lavoro subordinato dei lavoratori abusivamente costretti all’autonomia: più probabilmente essa è dovuta allo scoraggiamento dei lavoratori indipendenti “per scelta”, derivante dai pochi incentivi e dalle poche tutele esistenti per questo tipo di attività lavorativa. Ma sarà anche il banco di prova per un sindacato che cambia e si rinnova al cambiare del mercato del lavoro.
ADAPT Junior Fellow