Riforma Madia: l’enfasi sulla PA “che cambia” nasconde il nulla

Sui giornali del 20 maggio 2017 la gran parte dei titoli insiste sulla pubblica amministrazione “che cambia”, grazie alla riforma Madia.

 

È una cantilena, che si sente dal 1993, almeno, dai tempi di Cirino Pomicino, che avrebbe dovuto “cambiare” la PA esattamente con le medesime coordinate, trite e ritrite: “pagelle”, “valutazioni”, licenziabilità”, “dirigenza”.

 

Su Il Sole 24 Ore, in un editoriale Marcello Clarich, fautore e sostenitore di tutte le riforme che in questi 25 hanno hanno più volte “cambiato” la PA, con i risultati che conosciamo, ancora lancia grida di dolore per la mancata riforma della dirigenza, ma esprime fiducia per il “cambio di passo” del Governo: cioè lo stesso passo degli ultimi governi della prima Repubblica.

Si legge la riforma Madia e, al di là di modifiche di stampo tecnico, ci si rende conto che, alla fine, altro non è se non:

 

1) una captatio benevolentiae a fini elettorali, grazie all’ondata di stabilizzazioni e al tentativo di attrarre le simpatie dei dipendenti, con la promessa degli aumenti contrattuali di 85 euro;

2) una strizzatina d’occhio ai sindacati, sempre in chiave elettorale, in continuità con l’accordo “pre referendaerio” del 30 novembre 2016, con cui il Governo appunto promise, imprudentemente, l’aumento degli 85 euro in cambio di una maggiore autonomia dei contratti;

3) un ammiccamento alla stampa sempre alla caccia del dipendente fannullone, grazie alla norma che prevede il licenziamento dopo “tre pagelle negative”, come se il licenziamento per scarso rendimento non fosse sempre esistito, e grazie all’immancabile “stretta” sui procedimenti disciplinari.

 

E mentre nei bar si potrà chiacchierare, tra un gotto de vin e un tiro di stecca, della “riforma”, la verità è che gli 85 euro sono rinviati a poco prima delle elezioni, perchè mancano 2,5 miliardi circa, che il Governo spera di trovare il prossimo autunno sempre confidando nella “flessibilità” (leggi, aumento del deficit e del debito pubblico) concessa dall’Europa; i Ccnl, se vedranno la luce, la vedranno in forma di “santino elettorale” poco prima della sessione del 2018; la valutazione e le pagelle torneranno ad essere puro consociativismo politico-sindacale.

 
E vissero tutti felici e contenti, in attesa della prossima riforma che “cambia” la PA, grazie alle valutazioni, alle pagelle, all’autonomia contrattuale, alla flessibilità e alla licenziabilità.

 

Luigi Oliveri

ADAPT Professional Fellow

 

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