Conflitto o partecipazione? Un falso dilemma

Per il “lavoro che manca” ed il “lavoro che cambia” non esiste, allo stato, una politica concreta e nemmeno obiettivi condivisi. Continua infatti una navigazione a vista tra gli scogli. Avventurosa e del tutto priva di carte nautiche. Travisante è anche il dilemma sostanzialmente nominalistico, fasullo e deviante, che tiene banco sui media e divide trasversalmente: pseudo esperti, commentatori e apparati sindacali. Schierati tra “conflitto” e “partecipazione”. Considerate alternative nelle strategie di tutela del lavoro. In realtà si tratta, appunto, di un dilemma falso. E per diverse ragioni. Intanto perché nelle società democratiche e relativamente strutturate, il “conflitto” non può essere esorcizzato. In quanto costituisce un fattore di progresso economico, sociale e politico. Con esclusione naturalmente del “conflitto” praticato senza la “convenzione di Ginevra”. Vale a dire il conflitto fine e sé stesso. Puramente distruttivo. Per intenderci, quello che esercita una irresistibile attrazione tra molti dei così detti antagonisti: “black-block”, “no-global”, “centri sociali”. Tra i quali, appunto, non mancano mai provocatori e violenti.

Altrettanto infondato risulta il riferimento alla “partecipazione”. Ritenuta da molti una categoria salvifica. Ma del tutto,del tutto evanescente ed irrilevante, quando non accompagnata da strumenti, norme, diritti di intervento, in definitiva di co-decisione. In particolare nei e per i processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale e produttiva. A ben vedere, requisiti del tutto estranei alla regolazione in atto dei rapporti di lavoro…

 

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