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Sin dal 2004 il sistema previdenziale norvegese impone ai lavoratori in assenza per malattia di tornare al lavoro, in modalità part-time, il prima possibile o al massimo entro 8 settimane. Ciò sempre che un certificato medico non attesti che il lavoratore non è in grado di svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Questa previsione rientra in un processo normativo denominato Activation Reform il cui fine è quello di valorizzare la capacità lavorativa residua di chi si trova in assenza per malattia e viene considerato in maniera temporanea come disabile. L’obbligo di lavorare a tempo parziale per tali soggetti si basa sul fatto che la maggioranza dei congedi per malattia sono legati a malattie muscolari, mentali o ad altre patologie che non sono contagiose. Dopo 8 settimane in assenza per malattia, l’organismo competente deve decidere se riconoscere una eccezione all’obbligo di attivazione da parte del lavoratore. Tuttavia, generalmente questa decisione non viene adottata in maniera formale e questa è una delle cause che spiegano perché l’Activation reform non abbia avuto una grande applicazione nella pratica.
Un recente IZA Discussion Paper (Hernæs, O., Activation against Absenteeism: Evidence from a Sickness Insurance Reform in Norway, IZA DP n. 10991, settembre 2017) analizza un programma della regione di Hedmark in Norvegia realizzato nel 2013 al fine di rafforzare l’obbligo già introdotto dalla normativa previdenziale del 2004. Questo studio rileva che la riforma ha avuto effetti positivi nella riduzione dell’assenteismo: in concreto il livello di assenteismo si è ridotto del 12% se si compara con i livelli riscontrati in altre regioni con caratteristiche simili. Inoltre, il tasso di assenteismo non è diminuito soltanto grazie alla valorizzazione della capacità lavorativa residua di questi lavoratori ma la riforma ha anche potenziato il loro ritorno al lavoro a tempo pieno. Il programma prevede la creazione di un sistema che offre supporto ad ogni lavoratore e l’organizzazione di meetings per discutere della situazione di salute e lavorativa con personale amministrativo e medico. In secondo luogo, il programma prevede l’invio di una lettera nella quale si spiega che, trascorse 8 settimane in assenza per malattia, il lavoratore perderà il diritto alla relativa indennità se non allega una ragione valida che permetta il riconoscimento di una eccezione alla regola generale.
La riforma messa in atto nella regione di Hedmark costituisce un’alternativa alle strategie tradizionali che i sistemi di welfare hanno utilizzato per lottare contro l’assenteismo (come l’incremento dei controlli o la riduzione dell’ammontare della indennità di malattia). Questa riforma è riconducibile ad una tendenza riscontrata nei paesi scandinavi che consiste nella promozione del ritorno al lavoro, seppur a tempo parziale, dei lavoratori con problemi di salute mediante l’utilizzo di misure quali il partial-sick-leave sul presupposto che questi strumenti potenziano il ritorno al lavoro a tempo pieno e si associano a livelli più alti di occupazione (Cfr. Kausto, J., et al., “Partial sick leave –review of its use, effects and feasibility in the Nordic countries”, Scandinavian Journal of Work, Environment and Health, n. 4, 2008).
Tuttavia, anche se il risultato raggiunto dal programma della regione Hedmark è stato la riduzione dell’assenteismo, l’introduzione dell’indennità di malattia a tempo parziale in Italia o in altri paesi che seguono il modello mediterraneo di welfare, come è il caso della Spagna, non sarebbe così semplice. A differenza di quanto accade nei paesi scandinavi, nei paesi mediterranei, l’indennità di malattia si caratterizza per la sua rigidità posto che non esistono figure intermedie come il partial sick-leave. In questi paesi, l’assenza per malattia è a tempo pieno e, una volta finito, il lavoratore deve ritornare a lavorare (sempre a tempo pieno). Non esiste compatibilità tra la percezione dell’indennità di malattia e il salario derivato da un lavoro svolto a tempo parziale.
L’introduzione di una indennità di malattia a tempo parziale verrebbe a risolvere i problemi dei lavoratori con malattie croniche che, sebbene possano aver superato la fase acuta della malattia, continuano ad avere certi sintomi che impediscono loro di tornare al lavoro a tempo pieno. È vero che in Italia esiste la possibilità per i lavoratori con “gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti” di richiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Tuttavia, questa riduzione dell’orario di lavoro non viene accompagnata dalla percezione di nessun tipo di indennità erogata dal sistema previdenziale. Per tale ragione, questa previsione dell’ordinamento italiano non può essere paragonata al partial sick-leave, la cui introduzione, invece, potrebbe avere effetti positivi nel promuovere l’occupabilità dei lavoratori che si trovano in congedo per malattia per periodi prolunganti di tempo, anche attraverso il lavoro a tempo parziale (quando ciò sia possibile).
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo