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Dopo l’approvazione governativa del DDL Bilancio 2018 e la presentazione in Senato del relativo disegno di legge, catalogato A.S. N. 2960, prosegue l’iter legislativo per l’approvazione della legge di Bilancio 2018 che consente di porre sotto la lente interpretativa le disposizioni riguardanti il lavoro e la previdenza sociale. Un pacchetto di incentivi e di agevolazioni per l’occupazione stabile che, a partire dal 2018, dovrebbero incidere, quoad effectum, al rilancio dell’occupazione in maniera significativa. Per la verità, va subito detto che il contenuto del provvedimento in parola risente, in re ipsa, di alcuni vincoli e condizionamenti rappresentati, per esempio, dalla decisione di neutralizzare le clausole di salvaguardia e, quindi, gli aumenti delle aliquote dell’Iva e delle accise, dal rinnovo del contratto degli statali, e, last but not least dagli impegni di bilancio che il Governo ha preso con la Commissione Europea che vede la correzione del disavanzo strutturale dello 0.3% e il calo del deficit in rapporto al Pil all’1,6%. Ciò premesso, le misure contenute nella citata bozza vanno (de)costruite nelle seguenti categorie:
– agevolazioni contributive per l’occupazione giovanile;
– previdenza: Ape sociale, pensioni e stabilizzazione RITA;
– incentivi 4.0: rilancio degli investimenti;
– ristrutturazioni aziendali;
– altre misure per il lavoro.
Al di là dell’incertezza legata al limite anagrafico dei giovani ai quali è destinata la misura, il primo punto merita di essere (quantomeno) accennato, non tanto per la forma assunta dalla tripartizione della agevolazioni fuoriuscite, ovvero l’incentivo strutturale all’occupazione giovanile (art. 16), lo sgravio contributivo per coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali under 40 (art. 17), l’agevolazione per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno (art. 74), ma, quanto per i due principi (rectius, limitazioni) posti alla base dell’esonero contributivo stesso: la norma “anti-licenziamenti” e la “portabilità del beneficio” de quo.
Per l’appunto, proprio queste due disposizioni potrebbero rivelarsi, invero, un antidoto efficace sotto un duplice aspetto: per un verso, contrastare l’utilizzo tendenzioso del provvedimento da parte di alcuni datori di lavoro e, per l’altro, “sterilizzare” il beneficio dalle “alterne” vicende del primo rapporto di lavoro. Passando al secondo punto, il Governo dimostra di perseguire il principio del work life balance, attraverso un rafforzamento dell’Ape sociale, nel solco tracciato dalla precedente legge di Bilancio 2017. Anzitutto, viene esteso il campo di applicazione dell’APE sociale, per il 2018, mediante l’estensione dell’indennità anche in caso di scadenza di un contratto a tempo determinato, a condizione che il lavoratore o la lavoratrice, nei 3 anni precedenti la cessazione del rapporto, abbia avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi. Inoltre, ecco il riferimento prima evocato al bilanciamento del lavoro con la vita privata, verranno ridotti i requisiti contributivi per l’accesso alla prestazione per le donne con i figli: la riduzione è pari a 6 mesi per ogni figlio fino ad un massimo di 2 anni. Le categorie delle donne interessate alla modifica che, ribadiamo, consiste in una riduzione di 6 mesi per ogni figlio fino ad un massimo di 2 anni, sono le seguenti:
– lavoratrici in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e che abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 mesi;
– lavoratrici che assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazioni di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
– lavoratrici con una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, superiore e uguale al 74% e siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni;
– lavoratrici dipendenti che svolgono una o più delle professioni di cui all’allegato alla legge di bilancio 2017[1], da almeno 6 anni in via continuativa, attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo e che siano in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 36 anni.
Per restare sempre in tema di previdenza, il Governo intende semplificare e stabilizzare la “Rendita integrativa temporanea anticipata” (RITA), istituto che, è bene ricordare, interessa i soli iscritti alle forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita, con lo scopo di offrire agli stessi un aiuto finanziario in prossimità del raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia i quali hanno i requisiti per ottenere l’APE. A tal riguardo, il nuovo comma 4 permette(rebbe) ai lavoratori che cessino l’attività lavorativa e maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i 5 anni successivi, e che abbiano maturato alla data di presentazione alla domanda di accesso alla rendita integrativa (di cui al presente comma) un requisito contributivo complessivo di almeno 20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza, le prestazioni delle forme pensionistiche complementari, con esclusione di quelle in regime di prestazione definita, possono essere erogate, in tutto o in parte, su richiesta dell’aderente, in forma di rendita temporanea RITA, decorrente dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia e consistente nell’erogazione frazionata di un capitale, per il periodo considerato, pari al montante accumulato richiesto. Ai fini della richiesta in rendita e in capitale del montante residuo non rileva la parte di prestazione richiesta a titolo di Rita. Inoltre, il comma 4-bis consentirebbe di riconoscere la rendita anticipata ai lavoratori che risultano inoccupati per un periodo di tempo superiore a 24 mesi e che maturano l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i dieci anni successivi. Infine, sotto il profilo della tassazione, il comma 4-ter stabilirebbe che la parte imponibile della rendita anticipata, determinata secondo le disposizioni vigenti nei periodi di maturazione della prestazione pensionistica complementare, è assoggettata alla ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15% ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. A tal fine, se la data di iscrizione alla forma di previdenza complementare è anteriore al 1° gennaio 2007, gli anni di iscrizione prima del 2007 sono computati fino a un massimo di 15. Il percettore della rendita anticipata potrebbe, comunque, scegliere, indicando tale sua scelta nella dichiarazione dei redditi, di non avvalersi della tassazione sostitutiva, ma di sottoporre la rendita a tassazione ordinaria. È pur vero che, nel quadro delle misure contenute nel provvedimento in approvazione, trovano spazio anche altri ambiti di intervento. Infatti se è vero, come è vero, che lo sviluppo passa attraverso la crescita e gli investimenti, allora si giustifica il sostegno riposto dal Governo agli investimenti, attraverso la proroga della nuova Sabatini, che punterebbe a rilanciare maggiormente il tessuto delle piccole e medie imprese sul modello “Industria 4.0”. Sennonché, oltre al superammortamento e all’iperammortamento, un aspetto innovativo degno di nota riguarda l’introduzione di un credito di imposta triennale per le spese di formazione sostenute relativamente alle innovazioni connesse alla tecnologia 4.0. In sostanza, le aziende potrebbero beneficiare di un credito che riguarda il costo orario del personale impiegato in attività di formazione.
Ulteriori misure vengono approntate per il sostegno alla ricollocazione dei lavoratori di imprese in crisi (Ristrutturazioni aziendali). Orbene, i lavoratori al momento dell’attivazione dell’integrazione salariale, possono richiedere all’ANPAL l’attribuzione anticipata dell’assegno di ricollocazione della durata di sei mesi (prorogabili a 12). Se durante tale periodo i lavoratori fossero ricollocati a tempo indeterminato, cesserebbero il loro rapporto con il precedente datore, beneficiando di un incentivo all’esodo. Per contro, in caso di mancata ricollocazione, continuerebbero a beneficiare della CIGS. Analogamente, il nuovo datore di lavoro che assume tali lavoratori potrebbe beneficiare di uno sgravio i cui contorni e dettagli devono essere ancora (ben) definiti. Tra le altre misure che “alimentano” il nostro sguardo d’insieme, va, senza dubbio, accolta positivamente la proroga, per il 2018, del blocco delle addizionali regionali e comunali. Come abbiamo inizialmente accennato, vengono stanziate apposite risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego che, come risaputo, vengono rinnovati dopo molti anni. In tema di istruzione ed università vengono banditi nuovi posti per ricercatori universitari e vengono sbloccati per i professori in servizio gli scatti stipendiali da “ancorare” alla verifica della produttività scientifica. Per la scuola, la bozza della legge “avvicina” le retribuzioni dei dirigenti scolastici a quello degli altri dirigenti statali. Per il rilancio del Sud vengono introdotte apposite misure che vanno dall’ampliamento del credito d’imposta per acquisto di beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive del Mezzogiorno, al potenziamento di alcuni fondi, come il fondo Sviluppo e Coesione e l’istituzione del fondo Imprese Sud finalizzato a sviluppare il tessuto imprenditoriale delle pmi meridionali. Sempre in un’ottica incentivante, spicca l’istituzione di un fondo “ad hoc” rubricato “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano”, le cui risorse sarebbero destinate per il finanziamento di progetti collegati ad una delle seguenti finalità: avviamento all’esercizio della pratica sportiva delle persone disabili mediante l’uso di ausili per lo sport, realizzazione di eventi calcistici di rilevanza internazionale, realizzazione di altri eventi sportivi di rilevanza internazionale, tutela della maternità delle atlete non professioniste e la garanzia del diritto all’esercizio della pratica sportiva quale insopprimibile forma di svolgimento della personalità del minore, anche attraverso la realizzazione di campagne di sensibilizzazione. In conclusione, il (composito) quadro delle misure esaminate, ma ancora in fase di approvazione, fornisce, indiscutibilmente, la filosofia di fondo sottesa al provvedimento stesso. Se, il “lavoro” occupa un posto centrale nella politica economica del Governo, la sua azione “trasversale” percepibile nei suoi interventi, dimostra che servono, non solo (nuove) riforme del lavoro, ma politiche incisive e mirate per rilanciare il nostro mercato del lavoro e “traghettare” il nostro Paese fuori dalla crisi.
Amedeo Tea
Consulente del lavoro
ADAPT Professional Fellow
[1] A. Operaie dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; B. Conduttrici di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; C. Conciatrici di pelli e di pellicce; D. Conduttrici di convogli ferroviari e personale viaggiante; E. Conduttrici di mezzi pesanti e camion; F. Professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; G. Addette all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza; H. Professoresse di scuola pre-primaria; I. Facchini, addette allo spostamento merci ed assimilati; J. Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; K. Operatrici ecologiche e altre raccoglitrici e separatrici di rifiuti.