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Definizione
Espressione utilizzata per rappresentare il welfare erogato al singolo lavoratore in ambito aziendale sia esso unilaterale o contrattuale. Può considerarsi, infatti, l’insieme di quelle misure di utilità sociale, che traggono origine dalla libera iniziativa degli imprenditori (“welfare occupazionale-unilaterale”) ovvero da accordi collettivi a diversi livelli – nazionale, territoriale e aziendale – (“welfare occupazionale-contrattuale”) (Jessoula, 2017), nonché da accordi individuali.
Di cosa parliamo
La locuzione welfare occupazionale deriva dalla traduzione dell’espressione inglese “occupational welfare”, concetto elaborato da R. Titmuss nel 1958 come «l’insieme delle prestazioni sociali erogate dalle aziende ai propri lavoratori in virtù del contratto di lavoro che lega le une agli altri».
Tuttavia, l’espressione italiana pare fuorviante e di non immediata intelligibilità in quanto, con questa espressione ci si riferisce solitamente alla natura di tutto il nostro sistema di previdenza e assistenza sociale, prevalentemente finanziato dai contributi di chi lavora e le cui prestazioni sono destinate soltanto a persone precedentemente occupate, per questo definibile come “sistema occupazionale” (E. Massagli, S. Spattini, 2017).
In letteratura, viene utilizzata l’espressione welfare occupazionale –in contrapposizione a welfare pubblico – nell’ambito della quale si intendono ricondurre sia il welfare aziendale, nella sua accezione tradizionale, ovvero unilaterale, sia quello contrattuale a livello aziendale.
Poiché con l’approvazione della legge di stabilità del 2016 è venuta meno questa distinzione terminologica tra welfare aziendale con i caratteri dell’unilateralità e volontarietà e contrattuale, possiamo sostanzialmente affermare una corrispondenza tra quello che è il welfare occupazionale e il welfare aziendale in senso lato (unilaterale o contrattuale, volontario o obbligatorio).
Il Welfare Occupazionale nella contrattazione collettiva
In Italia alcuni studi sul tema sostengono che l’implementazione del welfare occupazionale porti a rafforzare i divari di tutela lungo diverse linee di segmentazione (da quella territoriale a quella settoriale, dimensionale o contrattuale), con risultati insoddisfacenti rispetto ad efficienza, efficacia ed equità.
Sotto molti aspetti (territoriale, dimensionale, contrattuale, ecc.) tale criticità può ritenersi superata laddove risulti la previsione del welfare aziendale nei contratti collettivi nazionali di lavoro, come nel caso del CCNL metalmeccanici.
In questo caso, infatti, l’omogeneità delle prestazioni di welfare garantite al livello statale sarà assicurata dal contratto collettivo nazionale di riferimento, al punto che tutte le aziende di quel settore dovranno necessariamente, a prescindere dalla loro collocazione geografica o dalla loro dimensione, prevedere le misure di welfare ivi indicate.
Riferimenti normativi
– Artt. 51 e 100 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
– Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016
Riferimenti bibliografici
– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016
– E. Massagli, S. Spattini, Cosa intendiamo quando parliamo di welfare aziendale? Un tentativo di mappatura concettuale di un concetto abusato, Bollettino ADAPT, 23 gennaio 2017
– M. Jessoula, Welfare occupazionale: le sfide oltre le promesse. Una introduzione, in Rivista delle Politiche Sociali, 2/2017
Per una analisi empirica della contrattazione collettiva:
– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo