Dopo le misure del 2015, dal gennaio di quest’anno è in vigore una nuova forma di sgravio contributivo per favorire l’assunzione stabile dei giovani lavoratori. Ma a quanto ammonta in Italia la spesa per incentivi al lavoro? Come valutarne l’efficacia?
Quindici forme di incentivi
Gli incentivi al lavoro non sono una novità tra gli strumenti di politica economica utilizzati in Italia e all’estero per sostenere l’occupazione. Possono avere natura temporanea oppure stabile, essere circoscritti ad alcune categorie di lavoratori o più generalizzati. Quelli temporanei di solito vengono utilizzati in chiave anticiclica e tendono ad avere platee più ampie; quelli stabili invece tendono a essere concentrati su categorie specifiche, considerate più svantaggiate nel mercato del lavoro anche in condizioni di ciclo più favorevole. Gli incentivi possono poi tradursi in riduzioni del costo del lavoro di carattere previdenziale, nel caso di sgravi contributivi, o di natura fiscale, nel caso di crediti di imposta.
Come emerso anche da una recente ricognizione, il panorama di queste misure in Italia è ampio e variegato. Se guardiamo a quelli diretti a giovani, apprendisti, disoccupati, cassintegrati, giovani genitori, lavoratori che sostituiscono genitori in congedo, donne, disabili, detenuti e altre categorie svantaggiate, ne contiamo circa quindici. Se includiamo poi anche quelli rivolti direttamente al lavoratore (come per il “rientro dei cervelli”) e per l’autoimpiego, arriviamo quasi a venti tipologie di incentivi diversi…
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