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La presenza di un elevato contenzioso in materia di lavoro si associa a una maggiore incertezza e maggiori costi per le imprese e i lavoratori. La scarsa certezza relativa ai tempi e agli esiti dell’eventuale contenzioso può a sua volta esser dovuta sia alle inefficienze del sistema giudiziario – che tuttora si caratterizza per durate alquanto lunghe, ed estremamente variabili sul territorio, delle procedure[1] – sia alla formulazione ampia e non sempre puntuale delle previsioni normative.
Gli interventi di riforma intervenuti negli ultimi anni – prima la legge Fornero del 2012 e poi il Jobs Act del 2014-15 – hanno cercato di intervenire su entrambi gli aspetti. Soprattutto sul primo la legge Fornero e soprattutto sul secondo il Jobs Act. Quest’ultimo[2] – con riferimento alla creazione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato – ha reso più certi e prevedibili – oltre che in media inferiori – i costi del licenziamento, riducendo in particolare l’ammontare delle indennità risarcitorie che il datore di lavoro può essere condannato a versare in caso di accertamento giudiziale della illegittimità del licenziamento e rendendo anche fiscalmente conveniente la definizione consensuale degli eventuali contrasti tra parte datoriale e lavoratori[3]. Più in particolare è stato[4]:
1) abolito l’obbligo – causa in passato di un ampio contenzioso – di inserire una causale per l’attivazione del primo contratto di lavoro a termine di durata inferiore a dodici mesi (L. 92/2012 – “Riforma Fornero”). Il regime di acausalità è stato successivamente esteso a tutti i
contratti a termine, ivi compresi i rinnovi degli stessi (D.L. 34/2014, c.d. decreto Poletti, convertito nella L. 78/2014);
2) ridotto progressivamente il perimetro della tutela reintegratoria e l’aleatorietà degli eventuali risarcimenti in relazione ai licenziamenti individuali illegittimi nelle imprese con più di 15 addetti (L. 92/2012; L. 183/2014 “Jobs Act”; d.lgs. 23/2015 “Contratto a tutele crescenti”);
3) introdotto un tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 7, L. 604/1966 come modificato dalla L. 92/2012) da esperire prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo[5], poi abrogato per gli assunti in regime di “contratto a tutele crescenti”; il successivo Jobs Act (L. 183/2014), ha previsto invece, per apprendisti e lavoratori con contratti a tempo indeterminato attivati dopo il 7 marzo del 2015, una nuova conciliazione facoltativa in cui eventuali indennizzi pagati dal lavoratore sono stati completamente esentati da imposte e contributi[6];
4) introdotto un rito speciale per le controversie in materia di licenziamento (cd. Rito Fornero, L. 92/2012)[7], poi abrogato per i soli contratti a tempo indeterminato e tutele crescenti introdotti dal Jobs Act.
Il numero di procedimenti iscritti nei Tribunali e nelle Corti d’Appello italiani in materia di lavoro privato è rimasto sostanzialmente stabile tra il 2005 e il 2011; in quest’ultimo anno sono stati iscritti 150.000 procedimenti, pari a circa 1 ogni 100 dipendenti del settore privato. Dal 2012, quando è entrata in vigore la Riforma Fornero, si è assistito a una costante riduzione del numero di procedimenti (Figura 1). Nel 2016 essi sono ammontati a meno di 100.000 unità (7 ogni 1000 dipendenti del settore privato), oltre il 30 per cento in meno rispetto a cinque anni prima. Benché anche il numero di casi definiti è diminuito, ma proporzionalmente in maniera meno intensa, nel tempo, il livello dei casi pendenti si è progressivamente ridotto; nel 2016 erano il 40 per cento in meno rispetto al 2011. Tali andamenti complessivi accomunano sia i procedimenti iscritti nei Tribunali (Figura 2), sia i ricorsi in Corte d’Appello (Figura 3).
Grazie alla disponibilità di dati più disaggregati, per gli anni 2014-16 è possibile anche effettuare un’analisi degli andamenti relativi a specifiche fattispecie (Tavola); tale analisi è da considerarsi come puramente indicativa, in quanto la tassonomia utilizzata dal Ministero della Giustizia per classificare la natura dei diversi procedimenti è molto generica, ed è possibile in particolare che procedimenti che riguardano più fattispecie diverse vengano classificati dalle cancellerie dei tribunali nella medesima categoria.
Tra il 2014 e il 2016 vi è stato un aumento del numero di procedimenti relativi ai licenziamenti individuali o collettivi. Se raffrontati al numero di licenziamenti, stabile attorno ai 740.000 l’anno, i licenziamenti impugnati in tribunale o corte d’appello sono perciò passati dal 2,9 al 3,3 per cento tra il 2014 e il 2016[8]. Occorre tenere inoltre in considerazione il fatto che la Legge Fornero ha introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione da esperire prima di ricorrere all’Autorità giudiziaria in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Non sono disponibili evidenze relative al ricorso a questo strumento; tuttavia, assumendo che almeno una parte dei tentativi di conciliazione abbiano avuto successo e abbiano pertanto evitato l’avvio di un procedimento giudiziario, si può concludere che il livello delle impugnazioni totali (stragiudiziali, nei tribunali e nelle corti d’appello) sia superiore a quello rilevabile dai soli dati raccolti dal Ministero della Giustizia.
Tuttavia, occorre rilevare che all’interno di questo maggior numero di casi (restringendo l’attenzione alle sole procedure giudiziali) sono calati i procedimenti ordinari (meno 30 per cento) e sono aumentate le cause di licenziamento gestite con il procedimento speciale abbreviato previsto dalla L. 92/2012 (70 per cento). Questo spostamento ha favorito una più rapida definizione degli esiti e dei carichi pendenti, che alla fine del 2016 erano il 17,5 per cento in meno rispetto a cinque anni prima.
Nel complesso pertanto si può affermare che le riforme della disciplina dei licenziamenti che hanno avuto luogo nel 2012 e nel 2015 abbiano diminuito in maniera significativa la durata dei procedimenti. In una qualche misura, non valutabile al momento esattamente, proprio questa riduzione potrebbe d’altro canto aver favorito un qualche aumento della litigiosità misurata come incidenza dei licenziamenti impugnati sul totale. In futuro, un’ulteriore riduzione della litigiosità potrebbe derivare dal fatto che il Jobs Act ha introdotto un trattamento fiscale favorevole per gli indennizzi definiti per via stragiudiziale.
Passando alle altre fattispecie, un calo significativo dell’insorgere di nuovi casi ha riguardato la categoria residuale (e quantitativamente rilevante) del “Lavoro dipendente da privato”, che include i casi connessi con l’apposizione della causale nei contratti a termine. Il flusso annuale dei casi iscritti si è ridotto del 15, lo stock di quelli pendenti a fine 2016 del 20 per cento. La sostanziale abolizione dell’obbligo di apporre una causale per i contratti di lavoro dipendente a tempo determinato sembrerebbe pertanto aver permesso una forte riduzione del contenzioso.
Un calo ancora più significativo si è riscontrato nelle liti relative ai rapporti di lavoro parasubordinato (-37 e -40 per cento per procedimenti iscritti e pendenti rispettivamente); il calo riflette solo in parte il calo del numero di individui impiegati con questa tipologia contrattuale, che – anche per via delle restrizioni normative via via introdotte – si è ridotta del 15 per cento nel periodo secondo i dati della Rilevazione continua sulle forze di lavoro[9].
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Nel complesso, le riforme succedutesi a partire dal 2012 hanno contribuito in maniera significativa alla riduzione della litigiosità in ambito di rapporto di lavoro dipendente privato e alla maggiore rapidità nei tempi del processo. Il calo è stato significativo in relazione alla categoria residuale “lavoro dipendente da privato”, che include i procedimenti relativi ai rapporti di lavoro a termine, e a quella relativa al lavoro parasubordinato.
Figure e Tavole
Figura 1
Contenzioso relativo a rapporti di lavoro privato, 2005-16. Totale
Fonte: Ministero della Giustizia (procedimenti totali in Tribunali e Corti d’appello)
Figura 2
Contenzioso relativo a rapporti di lavoro privato, 2005-16. Tribunali
Fonte: Ministero della Giustizia
Figura 3
Contenzioso relativo a rapporti di lavoro privato, 2005-16. Corti d’appello
Fonte: Ministero della Giustizia
Tavola
Fonte: Ministero della Giustizia
APPENDICE NORMATIVA
Le recenti riforme del diritto del lavoro orientate a una riduzione del contenzioso nel settore privato
- la Legge 92 /2012 ha rimosso l’obbligo di indicare la ragione dell’apposizione di un limite di durata per il primo contratto a termine, causa in passato di un ampio contenzioso, ma ha allungato l’intervallo minimo che deve intercorrere tra contratti stipulati con lo stesso lavoratore per disincentivarne un improprio utilizzo reiterato. La previsione di maggiori vincoli e oneri all’impiego di forme contrattuali flessibili è stata affiancata da un riordino della disciplina del licenziamento individuale per ridurre l’onere economico a carico del datore di lavoro derivante da un’eventuale impugnazione del provvedimento da parte del lavoratore. Le possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro è stata circoscritta a casi specifici e sono state eliminate le sanzioni amministrative per il ritardato pagamento dei contributi sociali. La riforma ha mirato anche a ridurre i costi legati alla durata del contenzioso, reintroducendo il tentativo obbligatorio di conciliazione da esperire prima di ricorrere all’Autorità giudiziaria e un rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti individuali.
- la Legge 99/2013 ha rimosso alcune delle norme che, introdotte o rafforzate dalla riforma Fornero, erano percepite come particolarmente onerose dai datori di lavoro. In particolare: (a) è stato ridotto l’intervallo che deve intercorrere tra due contratti a tempo determinato stipulati tra un’impresa e uno stesso lavoratore; (b) è stato abolito il divieto di prorogare un contratto a tempo determinato stipulato senza specificarne la causale; (c) è stata introdotta la possibilità, per i contratti collettivi nazionali o aziendali, di individuare situazioni in cui non è richiesto di specificare la causale; (d) sono state eliminate alcune restrizioni sul lavoro intermittente, sul lavoro accessorio e sui contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
- La Legge 78/2014 ha semplificato la normativa relativa ai contratti a termine e all’apprendistato. Per i contratti a termine è stato eliminato del tutto l’obbligo di specificare la causale, fonte di possibile contenzioso; è stata nel contempo introdotta una soglia massima per il ricorso a questo tipo di contratti (il 20 per cento degli occupati a tempo indeterminato), superata la quale il datore di lavoro sarà passibile di una sanzione pecuniaria. Per l’apprendistato sono stati semplificati gli adempimenti relativi alle attività di formazione; inoltre, la quota di apprendisti per i quali è previsto l’obbligo di stabilizzazione da parte dell’impresa è stata abbassata, e la sua applicabilità è stata limitata alle aziende con più di 50 dipendenti.
- La Legge delega 183/2014 e i successivi decreti attuativi ha modificato la disciplina dei licenziamenti per i contratti a tempo indeterminato stipulati a partire dal 7 marzo 2015. Le nuove norme hanno ridotto, ulteriormente rispetto a quanto già fatto dalla L. 92/2012, il perimetro della reintegrazione nel caso di licenziamenti illegittimi in imprese con più di 15 addetti e hanno predeterminato, rendendolo proporzionale alla durata del rapporto di lavoro, l’ammontare dell’indennizzo a carico dell’impresa. È stata anche accresciuta la convenienza economica delle procedure di conciliazione extragiudiziale, riducendo l’entità dell’indennizzo rispetto all’importo eventualmente ottenibile in giudizio, ma esentando dalle imposte gli importi ricevuti dal lavoratore.
Francesco D’Amuri
Banca d’Italia,
Dipartimento di Economia e Statistica, Servizio Struttura economia,
Divisione Struttura economica e mercato del lavoro
Raffaella Nizzi
Banca d’Italia,
Dipartimento di Economia e Statistica, Servizio Struttura economia,
Divisione Struttura economica e mercato del lavoro
* In corso di pubblicazione sulla rivista Diritto delle relazioni industriali. Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni degli autori, senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza. Si ringraziano per i commenti Matteo Bugamelli, Maria Giulia Cosentino, Silvia Giacomelli, Cristina Giorgiantonio, Riccardo Maraga, Giuliana Palumbo, Paolo Sestito.
[1] S. Giacomelli, S. Mocetti, G. Palumbo, G. Roma, “La giustizia civile in Italia: le recenti evoluzioni”, Questioni di Economia e Finanza, n. 416/2017.
[2] Per una valutazione degli effetti del Jobs Act sull’occupazione cfr. P. Sestito, E. Viviano, “Hiring incentives and/or firing cost reduction? Evaluating the impact of the 2015 policies on the Italian labour market”, Questioni di Economia e Finanza, n. 325/2016, in corso di pubblicazione nella rivista Economic Policy.
[3] Ci si riferisce all’art. 6, d.lgs. n. 23/2015 che ha introdotto la c.d. Offerta di Conciliazione, vale a dire la possibilità di erogare al lavoratore licenziato una somma esente sia sotto il profilo fiscale sia contributivo a stralcio di ogni pretesa connessa alla cessazione del rapporto.
[4] Per maggiori dettagli si rimanda all’appendice normativa.
[5] Il tentativo di conciliazione pre-giudiziale, prima obbligatorio e riguardante qualsiasi controversia relativa al rapporto di lavoro, è stato reso facoltativo dal cd. “Collegato Lavoro”, L. 183/2010.
[6] Cfr. nota n. 4.
[7] Per prime valutazioni sui possibili riflessi della Riforma Fornero in termini di contenzioso, cfr. “Riforma del mercato del lavoro e giudizi sui licenziamenti individuali: prime evidenze” a cura di C. Giorgiantonio WP CSDLE. Per un ulteriore approfondimento sugli aspetti procedurali si rimanda a P. Scognamiglio, “Le controversie di licenziamento nella Riforma Fornero”, 2013, Guida al lavoro, il Sole 24 ore, n. 2.
[8] Assumendo che anno di licenziamento e iscrizione della causa coincidano, sia per i procedimenti iscritti nei tribunali sia – con maggiore approssimazione – nelle Corti d’appello.
[9] Cfr G. Bovini, (2018) “L’andamento del lavoro indipendente in Italia: 2004-2017”, Mimeo.