Politically (in)correct – La Confindustria a Verona ha battuto un colpo: meglio tardi che mai

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“Innanzitutto non bisogna smontare le cose fatte in questi anni e che hanno dato effetti economici positivi. Ci sono politiche che hanno inciso sui fattori produttivi in modo trasversale ai settori economici e che hanno permesso di accelerare i processi di cambiamento. Queste politiche – principalmente Jobs Act, Industria 4.0, riforma fiscale, finanza per la crescita, sostegno alla promozione delle imprese all’estero, riforma della pubblica amministrazione – vanno valutate per gli effetti che hanno generato, adattate per renderle più efficaci se necessario, ma non depotenziate per motivi ideologici”. Così la Confindustria nell’Assise di Verona, il 16 febbraio scorso.

 

Che dire a questa associazione?  Bentornata al lavoro e alla lotta: ne avvertivamo il bisogno nel mezzo di una campagna elettorale squallida, demagogica e plebea, in cui l’agenda dei programmi – salvo qualche lodevole eccezione – era stata dettata dalle forze populiste. Il silenzio della più importante organizzazione imprenditoriale stava per sconfinare nell’omertà nei confronti di un dibattito politico in cui i toni prevalenti avevano preso di mira le riforme più importanti compiute negli ultimi anni. Un silenzio che si era accompagnato ad atti concreti di apertura di credito verso partiti e movimenti un tempo (auto)definiti, non a torto, “antisistema”, prima che anche il mondo dell’impresa cominciasse a prendere delle precauzioni in vista di possibili affermazioni elettorali di queste forze politiche.

 

Da cultori della materia non possiamo non osservare che nell’incipit riguardante le scelte da difendere non viene indicata la riforma Fornero delle pensioni, che pur rappresenta una discriminante cruciale nel confronto politico in corso da anni. È vero: il documento stigmatizza che in Italia si parli troppo di pensioni e poco di giovani e lavoro. Ma proprio per questi motivi diventa importante schierarsi dalla parte di chi non intende riaprire il cantiere previdenziale per riportare il Paese nel pantano di un sistema non sostenibile. Facciamo pure a fidarci, allora, di precedenti dichiarazioni, magari meno solenni per il contesto in cui sono state emesse.

 

Le proposte della Confindustria sono approfondite, documentate ed interessanti. In larga misura condivisibili. Indicano la strada per creare in pochi anni 1,8 milioni di posti di lavoro, nel quadro di una stabilizzazione e da un rafforzamento della crescita tale da recuperare complessivamente in un quinquennio 11 punti di Pil.

 

A proposito del lavoro, opportunamente la Confindustria ha ricordato che “in Italia assistiamo a un singolare paradosso. Mentre cresce la disoccupazione giovanile cresce il numero di imprese manifatturiere che non trovano tecnici specializzati. Il mismatch nasce dal mancato incontro tra domanda delle imprese e offerta formativa scolastica e da un deficit strutturale di orientamento”. Eppure di questa meritoria iniziativa (che ha coinvolto le strutture periferiche e vista la partecipazione di migliaia di imprese) i media si sono occupati per dovere di cronaca. Poi si sono spente le luci.

 

La campagna elettorale è proseguita sui soliti argomenti ai quali si sono aggiunti altri ancora più squallidi. È cominciata la caccia ai rendiconti, ai bonifici trasmessi con l’elastico, ai massoni, come se questi fossero argomenti che interessano agli italiani. In sostanza, ai moralisti d’accatto si è risposto per giorni con un moralismo anch’esso d’accatto, con titoli d’apertura nei più importanti quotidiani. Senza considerare che in questi acquitrini maleodoranti se la cavano meglio gli alligatori che lì sono nati.

 

D’altra parte, il documento di Verona aveva anche il merito di rappresentare un Paese diverso dall’immagine di sfascio propagandata dai talk show, per i quali sono notizie soltanto quelle negative, al punto da inventarsele se non se ne trovano di fresche di giornata. Un Paese che cresce, sia pure con ritardo, che ha delle eccellenze di rilievo internazionale, che esporta e che investe, anche se è perseguitato da tanti lacci e laccioli che, con un pudico eufemismo, vengono definiti burocratici come se anche la magistratura penale, civile ed amministrativa facesse parte della burocrazia e non svolgesse, invece, una funzione fondamentale nel buon andamento della società civile (quando ci decideremo a denunciare il ruolo svolto dalle procure nel coltivare  la “passione triste” secondo la quale –  dietro ad ogni affare come ad ogni appalto – si nasconde la corruzione?).

 

Per farla breve, il pregevole lavoro presentato a Verona dalla Confindustria somiglia troppo al tentativo di intonare l’Inno alla gioia (l’impegno per l’Europa viene ribadito in modo netto e preciso) in un’osteria di avvinazzati (i partiti e i movimenti, salvo eccezioni) che intonano a squarcia gola, secondo l’uso goliardico, le “osterie”. Certo se “La visione e le proposte” della principale associazione rappresentativa del mondo imprenditoriale fossero state presentate prima, all’avvio della campagna elettorale mentre i partiti stavano ancora preparando i loro programmi, probabilmente sarebbe entrata nel circuito di una campagna elettorale dissennata qualche idea meno balzana. Ma è inutile piangere sul latte versato.

 

Speriamo almeno che l’Assise di Verona – svoltasi al riparo dai partiti – sia servita ad orientare il voto degli industriali verso quelle coalizioni e liste – per fortuna ci sono sia nel cdx che nel csx – contrarie al populismo, al sovranismo, all’identitarismo, al protezionismo e a tutti gli ‘’ismi’’ maleodoranti che continuano a circolare, ancorchè dissimulati per ingannare gli elettori.

 

La rapida archiviazione delle loro proposte, tuttavia, deve far riflettere il gruppo dirigente della Confindustria sui motivi di un declino strisciante che dura da anni e che non sembra avere uno spiraglio di ripresa e di riscossa. “Permane una cultura anti-industriale miope, che vive ancora l’industria e l’imprenditore – sta scritto a conclusione del documento – come qualcosa di contrapposto al lavoro e alle famiglie, senza considerare che la realizzazione del lavoro avviene proprio nell’impresa, e quello che ogni famiglia vuole è lavoro per i propri figli. Questo vale per le famiglie di imprenditori, come quelle degli operai, dei quadri, dei dirigenti”.

 

È un clima certamente negativo quello che oggetto di denuncia, soprattutto se pensiamo che nei programmi elettorali serpeggia in modo visibile una voglia di statalismo e di dirigismo nell’economia che si spinge fino ad invocare i dazi e le nazionalizzazioni. Ma a determinare tutto ciò, vi saranno pure delle responsabilità situate nel Palazzo a vetri oscurati di Viale dell’Astronomia? O no?

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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