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La nuova legislatura appare caratterizzata da un radicale cambio dei paradigmi che hanno lungamente segnato la seconda vita repubblicana in Italia. Per oltre vent’anni la competizione politica si è sviluppata intorno ai principi del mercato con una sinistra che è arrivata ad esprimere perfino posizioni liberiste scavalcando talora un centrodestra preoccupato della coesione sociale. Con la “sola” eccezione di un sistema giudiziario sempre più imponderabile e invadente, il confronto si è largamente concentrato sulla riduzione del peso dello Stato in termini di spese e tasse. I risultati sono stati modesti ma il mood dominante ha impedito un peggioramento della situazione di partenza.
Ora la preoccupazione trainante, che influenza tutte le parti del nuovo assetto politico, sembra essere la protezione sociale intesa come ritorno allo Stato. Non solo quindi un maggiore peso della spesa corrente, quale si evince dalle promesse di allentamento delle rigidità del sistema previdenziale e di introduzione di un reddito di garanzia, ma anche una ricorrente richiesta di estensione delle strutture pubbliche.
Nelle stesse politiche del lavoro si riaffaccia la tesi di un potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego come se la consistente disoccupazione di lungo periodo o i bassi tassi di occupazione siano riconducibili alla loro carenza.
Eppure sembravano assodati i limiti impliciti nella ricorrente autoreferenzialità degli istituti dedicati all’orientamento, alla formazione e al collocamento di disoccupati e inoccupati. Da essi era derivata la convinzione che le risorse dovessero essere concentrate sulla domanda capacitandola attraverso l’uso sistemico di un virtuale assegno di ricollocamento da poter destinare liberamente alla offerta dei servizi ritenuti più efficaci da ciascun beneficiario. Ne deriverebbe un mercato competitivo di soggetti pubblici, privati e privato-sociali remunerati, almeno in parte, a risultato e in misura proporzionale alla difficoltà di collocamento.
La funzione pubblica dovrebbe preoccuparsi di garantire le infrastrutture di un trasparente mercato del lavoro a partire dal “fascicolo elettronico della vita attiva” di ciascun cittadino garantendone l’accesso agli operatori richiesti di aiutarlo. Qualcuno obietterà che nel Mezzogiorno le agenzie private sono meno presenti ma, da un lato, si svilupperebbero proprio in ragione dell’assegno e, dall’altro, si potrebbero rimuovere i frequenti ostacoli frapposti dalla legislazione regionale. In ogni modo, la sfida competitiva nell’interesse dei disoccupati dovrebbe essere raccolta anche dai soggetti della formazione in quanto tutti gli operatori dovrebbero convergere verso forme di collocamento mirato attraverso la riqualificazione delle competenze.
Gli stessi centri per l’impiego sarebbero sollecitati a misurarsi con la concorrenza e ad orientarsi ai risultati. Si tratta di stabilire se si vuole mettere al centro dell’azione pubblica la persona o se, ancora una volta, lo Stato pensa solo a se stesso
Maurizio Sacconi
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
@MaurizioSacconi