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Il governo ha saggiamente preso tempo per il cosiddetto decreto “dignità”. È auspicabile che il tempo supplementare sia stato dedicato all’ascolto delle imprese con lo scopo di comprendere i comportamenti che deriverebbero dalle varie ipotesi normative. L’anomala coalizione è certamente unita dal desiderio di discontinuità rispetto alle maggioranze del passato e dalla dichiarata volontà di misurarsi pragmaticamente con i concreti risultati della sua azione in termini di quantità e qualità dei posti di lavoro. Così, per quanto riguarda le politiche del lavoro, conteranno innanzitutto i tassi di occupazione registrati mensilmente dall’Istat in base ai criteri di Eurostat e lo stock dei contratti permanenti a prescindere dai flussi.
In questa ottica hanno perciò deluso le misure informalmente circolate. L’irrigidimento dei contratti a termine, i tetti più contenuti alla quota ammessa di lavori temporanei, la cancellazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato sono tutte cose già viste. Si tratterebbe della banale ripetizione degli errori compiuti dalle coalizioni dell’Ulivo su impulso della loro componente radicale. La stessa pretesa di impegni decennali delle imprese a non ridurre l’occupazione nel caso di incentivi ricorda talune intese aziendali degli anni ‘70, sistematicamente disattese nonostante il futuro sembrasse allora più prevedibile. Per non dire della ventilata retroattività delle norme che introdurrebbe ulteriori elementi di incertezza in un Paese bisognoso, al contrario, di un pavimento regolatorio stabile per il futuro è ancor più per il passato. Le ipotesi che abbiamo letto hanno tutte in comune la solita illusione ottica per cui la precarietà sarebbe conseguenza di norme flessibili. Cui si aggiungerebbe una logica originalmente punitiva, quasi vendicativa, per chi ha avuto benefici senza poi riuscire a produrre risultati performanti. Dai “governanti nuovi” sarebbe invece legittimo attendere misure nel segno di una visione moderna piuttosto che assistere al ritorno di soluzioni già praticate con esiti negativi.
Nel mercato del lavoro delle continue transizioni professionali la stabilità dell’occupazione sarà solo la conseguenza di competenze insistentemente aggiornate a partire dalla qualità della fase di ingresso. Perché allora non spiazzare una quota importante dei contratti a termine rendendo più conveniente, con semplificazioni e azzeramento degli oneri, ogni apprendistato “educativo” che è la migliore forma contrattuale per i giovani? Perché non sostituire gli incentivi smodati, che hanno dato solo risultati drogati, con un piano straordinario di alfabetizzazione digitale degli adulti? Perché non contrastare la falsa somministrazione camuffata da appalto di servizi invece di aggredire lo staff leasing tutelato che piace a tutti gli interessati? Perché non concentrare l’attività ispettiva sulle resistenti sacche di lavoro sommerso, ripristinando gli stessi voucher che ne favoriscono l’emersione, invece di rincorrere le piccole violazioni formali? Sarebbe davvero bello essere stupiti, dopo i primi annunci scontati, da un approccio coraggioso e innovativo perché fondato sulla osservazione delle persone e non sugli schemi astratti di vecchie ideologie in cerca di rivalsa.
Maurizio Sacconi
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
@MaurizioSacconi