Il dibattito sui temi di diritto del lavoro in Italia è spesso preda di un sensazionalismo che impedisce approfondimento e soluzioni ragionate.
Le misure introdotte dal “Decreto Dignità” si limitano a qualche modifica sulla disciplina del lavoro a termine, della somministrazione di lavoro e del licenziamento ingiustificato. Fa quindi sorridere che si sia scomodata la “dignità” del lavoro per questa manciata di norme, non solo da parte del legislatore ma anche degli editorialisti di prestigiosi quotidiani. Con buona pace del ministro Di Maio, le modifiche sono ben lungi dal rappresentare la “Waterloo del precariato”, qualunque cosa significhi, o dal riaffermare la dignità del lavoro in Italia.
Ammesso che questi obiettivi siano perseguibili per decreto, essi richiederebbero in primo luogo una riflessione complessiva su forme contrattuali spesso usate ben oltre le proprie funzioni giuridiche, come gli stage, le false partite Iva o i finti part-time che nascondono impieghi a tempo pieno retribuiti “con lo sconto”. Soprattutto, andrebbe avviata una riflessione su come favorire la creazione di lavoro dignitoso, non solo per remunerazione ma anche per contenuti, rappresentanza sindacale, sicurezza e stabilità…
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