Fabbrica di vetro, così Ivrea sognò la modernità

Lungo via Jervis, la principale strada di Ivrea, affaccia un edificio che Adriano Olivetti aveva commissionato verso la fine degli anni 30 a due architetti razionalisti, Luigi Figini e Gino Pollini, di origine veneta ma ormai stabilmente a Milano. L’edificio, che è composto di vetro, acciaio e cemento, le tre unità care a Le Corbusier, è un fronte armonico di esattezza geometrica, lineare nella sua funzionalità e rappresenta un gesto di discontinuità urbanistica rispetto alla precedente idea di civiltà industriale. Camillo Olivetti, infatti, il padre di Adriano, aveva cominciato a fabbricare macchine da scrivere nel 1908, ma la sua era un’officina di mattoni rossi, costruita secondo una modalità orientata sul paradigma del luogo di lavoro chiuso e buio. La “fabbrica di vetro” – così invece fu identificato l’edificio di Figini e Pollini – rispondeva ai criteri della trasparenza e della luminosità: ciò che accadeva fuori poteva essere visto da dentro e viceversa (dunque dava prova tangibile di come inserire i luoghi di produzione dentro la comunità del Canavese) e poi, in aggiunta, sottolineava quel senso di claritas che non indicava soltanto la soluzione a un problema di illuminotecnica, ma era un indizio di quell’umanesimo industriale, di cui la Olivetti era ed è rimasta ancora oggi un insuperato progetto-guida, sia in Italia che all’estero…

 

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