Verso nuove geografie del lavoro nelle città mondializzate

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Nell’articolo pubblicato su CityLab, lo studioso americano Richard Florida prende in esame alcune professioni, evidenziandone in particolare l’inadeguatezza dei salari, che non permettono ai lavoratori di sostenere i costi della vita troppo alti delle megacities americane. La conseguenza – annota Florida – è la progressiva “scomparsa” di professioni come, ad esempio, quelli legati all’edilizia abitativa, al trasporto di merci, all’amministrazione e all’elaborazione delle transazioni, al telelavoro presso i call center. Florida si richiama allo studio comparato di cinquantuno città americane con più di un milione di abitanti dell’economista Jed Kolko, reperibile sul sito del lavoro Indeed.

 

L’interpretazione del fenomeno, secondo lo studioso, è da ricondurre al fatto che nelle megacities americane si registra una tendenza ad agglomerare i lavori presenti nei settori della tecnologia e delle scienze, e quelli di tipo manageriale, che sono altamente retribuiti. I data scientists, ad esempio, hanno una probabilità quasi quattro volte superiore di essere collocati in queste megacities. Lo stesso accade per alcuni direttori creativi oppure per varie tipologie di artisti. Una terza categoria di professioni altamente retribuite è quella, sempre per esemplificare nel settore dei “servizi”, che vede lavorare gli istruttori di fitness, i pasticcieri, gli allenatori di calcio, i dogsitter, etc.

 

Kolko – specifica Florida nel medesimo articolo – ha identificato diversi fattori che determinano la tendenza prima richiamata. Uno di essi è costituito dalla vicinanza al luogo del lavoro o al luogo di transito: infatti, i residenti più abbienti di queste megacities americane preferiscono vivere in prossimità del proprio luogo di lavoro o dei poli inter-modali come le stazioni, per non diventare pendolari di lungo raggio; ciò comporta un orientamento a prediligere i trasporti pubblici e, di conseguenza, una contrazione della domanda di manutenzione delle automobili individuali così come la sparizione delle attività legate alla loro manutenzione. Un altro fattore determinante – riporta Florida – è costituito dalla “localizzazione”: il posizionamento delle dieci megacities statunitensi nelle aree costiere comporta che i punti logistici e le operazioni di distribuzione delle merci siano difficilmente collegabili con il resto del Paese rispetto ai poli di scambio situati nelle città dell’entroterra.

 

Un ulteriore, recente studio di Shutters et al. – pubblicato su Plos One e anch’esso citato da Florida – fornisce un’interpretazione simile dei dati sulle professioni che stanno “scomparendo” nelle megacities. Le città con un costo di vita elevato beneficiano di reti occupazionali più “spesse”, che le portano a specializzarsi in lavori creativi e di conoscenza, con una retribuzione elevata dei propri lavoratori rispetto ad altri luoghi. Al contrario, le professioni tradizionali tendono a scomparire per l’eccessivo costo degli immobili e della vita in generale.

Florida conclude il suo articolo affermando che le megacities nordamericane sono diventate centri di innovazione proprio perché concentrano un’ampia diversità di persone, posti di lavoro e competenze legate alla creatività; allo stesso modo, tuttavia, egli sostiene che il fenomeno potrebbe determinare una nuova crisi urbana.

 

Prendendo spunto da questi studi statunitensi, potrebbe sorgere spontanea la domanda se il processo denunciato da Richard Florida, legato alla nuova geografia del lavoro, si presenti anche in altri contesti fortemente urbanizzati come, per quanto ci riguarda più da vicino, nella cosiddetta “megalopoli padana”.

 

Il termine “megalopoli padana” fu coniato in Italia negli anni Settanta dal geografo francese Jean Gottmann[1]. Con esso si intende quell’insieme di territori urbanizzati che si sono sviluppati a ovest e a est della città metropolitana di Milano, delineando un continuum di costruito, di infrastrutture e di flussi di persone e merci, rendendo allo stesso tempo impercettibili i confini amministrativi.

Altri geografi, come Sergio Conti e Carlo Salone[2], parlano di questa vasta area territoriale come di un “mosaico” del Nord Italia, e ne individuano la genesi in tre fasi di sviluppo. La prima fase, che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, favorì la crescita economica del Nordovest prospettando un triangolo industriale tra Milano, Genova e Torino. La crescita economica si fondava su un sistema produttivo di impronta industriale fordista, in prevalenza manifatturiero, che determinò una grande migrazione interna, principalmente proveniente dal Sud Italia e dal Veneto. Questi lavoratori trovavano occupazione per la maggior parte in fabbrica[3]. La seconda fase, che va dagli anni Settanta fino agli anni Novanta, ha avuto come baricentro della crescita economica il territorio a Nordest di Milano, con un significativo incremento del numero di piccole e medie imprese (PMI). Da segnalare in proposito, come effetto connesso, l’emersione, accanto alla metropoli, di una “nebulosa”, fatta di numerosi centri di agglomerazione di PMI di origine familiare o appartenenti a settori distrettuali ad alta specializzazione. Una fase, insomma, di grande vivacità economica e sociale nella quale Milano registra una diminuzione della popolazione a fronte di una crescita del suo ruolo finanziario e della dematerializzazione della sua economia[4]. La terza fase, che inizia negli anni Novanta e arriva ai giorni nostri, è caratterizzata da un sistema economico-produttivo di tipo reticolare nell’area centrale del Nord Italia ed è basata su una media impresa innovativa e dinamica, che sopravvive alla sfida della globalizzazione dei sistemi produttivi e all’introduzione della moneta unica[5]. A questo sviluppo economico si associa un nuovo profilo urbano diffuso che non solo interessa la città metropolitana di Milano ma anche la fascia che va da Varese, Como fino alle aree nordorientali della Brianza, del bergamasco e del bresciano e riguarda lo sviluppo di nuove centralità costruite da aree commerciali periurbane, da parchi scientifici e tecnologici e dagli aeroporti, a fronte di uno svuotamento dei nuclei urbani, i quali rischiano il forte ridimensionamento delle attività commerciali e vengono coinvolti a fatica dai nuovi processi di sviluppo[6].

 

Detto altrimenti, la “megalopoli padana” vive oggi il fenomeno della mondializzazione, che secondo il geografo francese Jaques Lévy assume il “mondo” come spazio di riferimento delle pratiche sociali e, con l’aumento della mobilità, connette realtà locali proiettandole in una dimensione mondiale fortemente interrelata[7]. Oltre alla reticolarità della mondializzazione, il territorio della “megalopoli padana” mostra un’inedita conformazione policentrica[8], poiché possiede al proprio interno diverse funzioni distribuite in più centri tra loro connessi[9].

Analizzando, ad esempio, un recente rapporto di Assolombarda e del Comune di Milano sulla città metropolitana milanese, uscito a giugno 2018, dal titolo Osservatorio Milano, vengono ad evidenza alcune problematiche connesse al reddito e al lavoro, come quella dei lavoratori cosiddetti working poors. Infatti, la povertà estrema e l’esclusione non sono assenti nelle grandi metropoli ma il rapporto giustifica le cause di tali fenomeni ricollegandosi allo scenario economico contemporaneo, che ha condizionato il mercato immobiliare rispetto ai decenni precedenti.

 

Questa breve riflessione porta a concludere che anche nella “megalopoli padana” si cominciano a riscontrare i fenomeni presenti nelle città americane. Va tuttavia osservato, sin da ora, che se per Richard Florida la “scomparsa” di alcune professioni deriva dai prezzi troppo alti degli immobili, viceversa la “megalopoli padana”, essendo caratterizzata da un insieme di centri connessi che agiscono in base alla propria distribuzione, all’esercizio di specifiche funzioni e alle conseguenti relazioni di integrazione e interdipendenza che delineano, permette di “attrarre” al proprio interno lavoratori (anche i working poors della città metropolitana di Milano) che producono impulsi che proiettano un’inedita geografia del lavoro, che merita di essere ulteriormente analizzata e compresa nella dinamica sua propria.

 

Alketa Aliaj

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@keti_aliaj

 

[1] J. Gottmann, (1978) “Verso una megalopoli della Pianura Padana”, in: C. Muscarà (a cura di), Megalopoli mediterranea, Franco Angeli, Milano, pp. 19-31.

 

[2] S. Conti S, C. Salone, (2010), “Le tessere del mosaico”, in: Id. (a cura di), Il Nord/I Nord. Per una interpretazione geopolitica della “Questione settentrionale”, Rapporto 2010, Società Geografica Italiana, Roma, p. 11.

 

[3] G. Scaramellini, E. Mastropetro, (2011), “Milano, lavori in corso. La metropoli lombarda dal “miracolo economico” all’attuale crisi economica mondiale”, in: C. Muscarà, G. Scaramellini, I. Talia (a cura di), Tante Italie Una Italia, Dinamiche territoriali e identitarie. Volume IV: Nordovest: da Triangolo a Megalopoli, Franco Angeli, Milano, p. 17.

 

[4] Ibidem, p. 21.

 

[5] S. Conti, C. Salone, (2010a) “Le tessere del mosaico”, in: Id. (a cura di), Il Nord/I Nord. Per una interpretazione geopolitica della “Questione settentrionale”, Rapporto 2010, Società Geografica Italiana, Roma, p. 17.

 

[6] A. Ghisalberti, (2018), Rigenerazione urbana e restituzione di territorio. Metodi e mapping di intervento in Lombardia. Mimesis Kosmos, Milano, p. 43.

 

[7] J. Lévy, (2008c), “Un évènement géographique”, in: Id. (a cura di), L’invention du monde. Une géographie de la mondialisation, Presses de Sciences Po, Paris, pp.11-17.

 

[8] E. Casti, (2008), “La diaspora cinese e il territorio in movimento”, in: E. Casti, G. Bernini (a cura di), Atlante dell’immigrazione a Bergamo: La diaspora cinese, Il lavoro editoriale/Università, Ancona, pp. 13-32; E. Casti, (2014), “La città plurale. Metodi di ricerca e iconizzazioni cartografiche (Introduzione)”, in: G. Scaramellini, E. Mastropietro (a cura di), Atti del XXXI Congresso Geografico Italiano, Vol. II, Mimesis Edizioni, Milano, pp. 169-174.

 

[9] E. W. Soja, (2011), “Regional Urbanization and the End of the Metropolis Era”, in: G. Brige, S. Watson (a cura di), The New Blackwell Companion to the City, Willey-Blackwell, Oxford, pp. 679-689.

 

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