Lavorare nel tempo di viaggio? Una ricerca inglese ci mostra i dati

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Lo scorso 30 agosto, nel corso della conferenza annuale della Royal Geographical Society (con IBG), è stata presentata una ricerca sull’impatto del Wi-Fi sul tempo di viaggio dei pendolari nel tragitto casa-lavoro sulle principali linee di trasporto inglesi. Nello specifico, lo studio nasce dalla collaborazione del Centre for Transport and Society dell’University of the West of England (UWE Bristol) con le compagnie ferroviarie che percorrono le tratte da Birmingham a Londra e da Aylesbury a Londra (J. Jain, J., C. Bartle, W. Clayton, (2018) Continuously connected customer. Project Report. Centre for Transport and Society).

 

L’indagine, svolta in un arco di ben tre anni (da maggio 2015 a febbraio 2018), ha verificato come i livelli del Wi-Fi forniti gratuitamente dalle compagnie di trasporto variassero con il decorrere del tempo, tanto in aumento quanto in diminuzione. Inoltre, sono state effettuate circa 5000 interviste sui passeggeri che quotidianamente percorrevano le tratte considerate per comprendere come utilizzassero il loro tempo di viaggio.

 

I primi risultati hanno dimostrato che, man mano che si procedeva con le settimane, la fornitura di Wi-Fi aumentava, permettendo ai viaggiatori di usufruire di una connessione più veloce e stabile. A ciò corrispondeva una maggiore soddisfazione dei passeggeri che già utilizzavano il Wi-Fi, senza però attirarne di nuovi.

 

Il dato interessante, riscosso dalle interviste con i viaggiatori, mostra come più della metà dei passeggeri sulla prima tratta, e poco meno di un quarto dei viaggiatori sulla seconda tratta, grazie all’utilizzo del Wi-Fi, hanno adoperato il tempo-viaggio come tempo molto utile per le loro attività. Alcuni passeggeri hanno affermato che il tempo di viaggio è un tempo utile per “mettersi in pari” con il lavoro arretrato, tanto al termine quanto all’inizio della giornata lavorativa. Altri rivelano che grazie all’uso del Wi-Fi il tempo di viaggio garantisce la conciliazione vita-lavoro: permette di essere manager aziendali durante l’arco della giornata lavorativa non più scandita da orari rigidi, ma anche di essere genitori che preparano i bambini per andare a scuola. Proprio per tali ragioni e al fine di meglio svolgere l’attività lavorativa nel tempo di viaggio, alcune interviste hanno fatto emergere la necessità di garantire maggiore comfort all’interno dei treni: ad esempio assicurando un posto a sedere per tutti o la presenza di tavoli da lavoro. Questi suggerimenti sono stati colti positivamente dalle compagnie ferroviarie coinvolte nella ricerca. Ad esempio, La Chiltern Railways ha sottolineato l’importanza di fornire al cliente un treno “digitale” che garantisca la trasformazione del tempo-viaggio in tempo-produttivo. Invece, la BAS LLP ha proposto ai passeggeri di viaggiare in orari meno affollati che favoriscono un “ambiente di lavoro” più efficiente (connessione più veloce, disponibilità di posti a sedere), evitando gli orari di punta. D’altronde la Rivoluzione digitale ha permesso lo sviluppo di orari di lavoro più flessibili, ma soprattutto la possibilità di eseguire la prestazione di lavoro in qualunque luogo purché connessi.

 

Tuttavia, dalle indagini effettuate, emerge che i passeggeri non considerano il tempo di viaggio come tempo di lavoro effettivo. Eppure, Juliet Jain, ricercatrice che ha dato luce al progetto, sostiene che il tempo di viaggio abbinato ad altri benefici e strumenti forniti dall’economia digitale può sfociare in nuove forme di sperimentazione tali da far rientrare nella nozione di orario di lavoro il tempo di viaggio e come tale essere retribuito.

 

In buona sostanza la ricerca conferma come il tempo di viaggio ha un “valore” per i passeggeri; siano essi passeggeri inglesi, italiani, tedeschi, poco conta. Su questi e molti altri aspetti, da tempo dottrina e giurisprudenza, si impegnano nel dibattito sul “come” si possa classificare il “mentre” il lavoratore si sposti per raggiungere il luogo di lavoro. Secondo alcuni, il tempo di lavoro ha “colonizzato” il tempo personale generando un’interferenza tra i diversi tempi (E. Genin, Proposal for a Theorethical Framework for the Analysis of Time Porosity, International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, vol.32 n.3, p. 280-300). D’altro canto la giurisprudenza, in una recente sentenza emanata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-266/2014) ha affermato come per i lavoratori senza una sede fissa di lavoro (e solo per quelli), il tempo di percorrenza tra il domicilio e il primo luogo di lavoro della giornata lavorativa e quello di ritorno dall’ultimo luogo di lavoro al domicilio, deve essere considerato come orario di lavoro.

 

Siamo allora ben consci del fatto che si tratti di un dibattito aperto in piena fase di transizione: tanto incerto quanto contradditorio.

 

Richiamando qui l’insegnamento del sociologo Zygmunt Bauman, che nella sua “Modernità liquida” abbracciò la visione della modernità “liquefatta” come quella ritratta negli orologi di Salvator Dalì[1], vien quasi di applicarla anche alla disciplina del tempo di lavoro. Non è forse giunto il tempo di riflettere sulla possibile “liquefazione” del tempo di lavoro lasciandolo libero dalle lancette dell’orologio? Riuscirà la regolazione giuridica ad essere il nuovo architetto di una realtà temporale non più scandita da una dimensione “cronologica”, bensì funzionale agli obiettivi da raggiungere?

 

Idapaola Moscaritolo

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@idapaola

 

[1] Z. Bauman, Meglio essere felici, Castelvecchi Editore, 2018, p. 10.

 

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