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Il rapporto tra evoluzione tecnologica e mondo del lavoro è sempre più al centro degli approfondimenti sia del mondo accademico sia, più in generale, del dibattito pubblico. Prevalgono tuttavia le analisi che prescindono dai numerosi nodi critici dei mercati del lavoro contemporanei, per cui diventa facile collocarlo tra quei fenomeni “di prospettiva” che rischiano di essere derubricati come futurismo. Abbiamo il dovere invece di indagare le soluzioni che determinate applicazioni della tecnologia potrebbero apportare. Questo anche perché, soprattutto nei mercati del lavoro europei, la centralità dell’impianto normativo nella regolazione dei rapporti di lavoro, così come della contrattazione collettiva nazionale, tendono, in un loro utilizzo spesso conservativo, ad agire come agenti limitanti l’introduzione di nuove pratiche (come accaduto per la buona prassi dei contratti di prossimità). Condizionante è tuttora la logica della tutela del lavoro in termini puramente difensivi.
La sfida di oggi non è tanto quella di giudicare un complesso ed articolato processo storico che ha portato ad una determinata caratterizzazione del diritto del lavoro e dei sistemi di tutela, quanto di verificare i modi con cui la tecnologia potrebbe accelerare lo sviluppo di un approccio più sostanzialisticamente orientato all’empowerment della persona al lavoro.
La tecnologia blockchain, recentemente entrata nel dibattito pubblico anche grazie alla discussione che si è generata proprio su questo giornale, può essere un interessante punto di osservazione. Alcune potenzialità di questo registro diffuso sono già state evidenziate in altri contributi. Esse vanno dall’utilizzo dei c.d. smart contracts per regolare in forma adattiva i rapporti di lavoro all’utilizzo della blockchain per promuovere la piena certificazione dei rapporti tra consumatori e lavoratori tramite piattaforma o per contrastare il lavoro nero fino alla combinazione con i big data per gestire il fascicolo elettronico della vita attiva di ciascuno.
Sarà utile ora approfondire anche l’impiego della blockchain nell’ambito delle relazioni industriali. A questo proposito, taluni ipotizzano possa produrre effetti di disintermediazione. Noi, al contrario, riteniamo la tecnologia neutrale e a disposizione delle parti sociali come, direttamente, di coloro che esse rappresentano.
Immaginiamo, ad esempio, l’impatto positivo che potrebbe avere un registro così trasparente e affidabile ai fini di verifica della regolarità contrattuale o, più dinamicamente, di misurazione della produttività effettivamente conseguita dalle singole imprese e dai singoli lavoratori. Certamente una occasione per un sistema di relazioni di lavoro sempre più complesso, nel quale la contrattazione di prossimità (territoriale ed aziendale) può raggiungere la sua maturità. In un tale contesto proprio la blockchain consentirebbe il coordinamento tra le diverse catene del valore, le diverse filiali e le disposizioni dei vari livelli di contrattazione. Si tratta di una sfida impegnativa per le organizzazioni di tutela e rappresentanza, impegnate a formare e selezionare una nuova generazione di delegati sindacali e di operatori professionali. Così non fosse, certo sarebbe il ridimensionamento del loro ruolo: una conseguenza (positiva) della tecnologia è infatti la sconfitta di ogni autoreferenzialità.
Presidente ADAPT
Chairman ADAPT Steering Committee
*pubblicato anche su iIl Sole 24 Ore, 28 settembre 2018